Next Generation, un piano da rivedere
Prima che l’attenzione si concentrasse su quella che appare come la più inopportuna crisi di governo della nostra storia nazionale, l’Italia, tra una pandemia e un lockdown a colori, era […]
Prima che l’attenzione si concentrasse su quella che appare come la più inopportuna crisi di governo della nostra storia nazionale, l’Italia, tra una pandemia e un lockdown a colori, era […]
Prima che l’attenzione si concentrasse su quella che appare come la più inopportuna crisi di governo della nostra storia nazionale, l’Italia, tra una pandemia e un lockdown a colori, era alle prese con la discussione sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), necessario per ricevere dall’Unione europea i miliardi promessi. Discussione quanto mai utile perché le bozze di Piano finora presentate mancano di una strategia capace di cogliere a pieno il senso del Programma Next Generation UE che ha nel nome il proprio obiettivo: agire oggi per costruire un futuro più sano, più sicuro e più sostenibile per le nuove generazioni di europei.
Il Wwf Italia ha condotto un’analisi del Piano, chiamato ambiziosamente Next Generation Italia, che rispetto alla prima bozza prevede un taglio di 4,6 miliardi di euro (da 74,4 a 69,8) proprio dei fondi destinati a «Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica» (Missione 2). Taglio non comprensibile considerato che l’attuale versione del PNRR non chiarisce come si intenda raggiungere l’obiettivo, richiesto dalla Commissione europea agli Stati Membri, di destinare il 37% dell’ammontare complessivo delle risorse ad azioni per clima, adattamento ai cambiamenti climatici e biodiversità terrestre e marina: attualmente alle misure che perseguono questi obiettivi sembra essere destinato solo il 31% dei 223,9 miliardi messi a disposizione. Ancora più incomprensibile è, poi, la circostanza che nel PNRR non si dedichi nemmeno un euro alla tutela e al restauro del nostro patrimonio naturale, asset fondamentale per la salute, la sicurezza, il benessere e il rilancio del nostro Paese (che vanta una delle più ricche biodiversità d’Europa), nonché elemento centrale del Green Deal europeo e della Strategia Europea sulla Biodiversità.
Altro elemento preoccupante è la quota dei «progetti in essere» presenti nel Piano: il 28% dei fondi complessivi e addirittura il 45,5% di quelli della Missione 2. È reale il rischio che la sommatoria di progetti, vecchi e nuovi, non abbia quel respiro sistematico e innovativo che faccia compiere un salto di qualità al Paese nella sua capacità nell’affrontare le sfide dettate dalle emergenze ambientali e sanitarie, condizionate dai cambiamenti climatici e dalla perdita di biodiversità. Vanno rivisti anche le priorità di spesa della Missione 2: il Bonus verde del 110%, pur essendo una misura condivisibile, non può assorbire 29,55 miliardi sui 69,80 disponibili, soprattutto se confrontati ai soli 3,61 miliardi assegnati alla tutela del territorio dal rischio idrogeologico, una delle più gravi emergenze del Paese.
È l’ora di mostrare più coraggio e mettere in campo progettualità che consentano di delineare una strategia industriale basata sul rinnovamento dei processi produttivi coerenti con i target di decarbonizzazione, avviare una transizione ecologica dell’agricoltura che superi il modello dominante, definire le riforme necessarie per affermare l’economia circolare, promuovere un grande progetto nazionale di turismo sostenibile che veda nelle ormai tante aree naturali protette presenti in Italia un volano per aree da sempre marginali. Un lavoro enorme da fare in poco tempo e con convinzione (crisi permettendo).
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