Visioni

«New Society», un gesto d’artista per trasformare il mondo

«New Society», un gesto d’artista per trasformare il mondoImmagini dalla mostra «Miranda July: New Society» – foto di Valentina Sommariva

In mostra La personale di Miranda July, fra video, film, archivi, installazioni, alla Fondazione Prada di Milano. Le prime performance, il punk e il femminismo, lo spazio dell’altro

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 17 marzo 2024

«Ho portato in scena New Society alla Brooklyn Academy of Music nel 2015. Alla fine dello spettacolo abbiamo votato decidendo di rimanere in quel teatro per sempre con l’idea di costruire un nuovo mondo lì dentro di cui io ero la guida – visto che era il mio spettacolo ero la sola a sapere cosa sarebbe accaduto. Insieme al pubblico abbiamo scritto una nuova costituzione, un nuovo inno nazionale, un grafico fra gli spettatori ha disegnato la bandiera della nostra nazione e i prossimi 20 anni della nostra sovranità si svolgevano nell’arco di due ore durante le quali siamo invecchiati, ci siamo trasformati fino a affrontare di nuovo la nostra realtà con sgomento». Cosi Miranda July racconta l’esperimento scenico che dà il titolo alla mostra dedicata all’artista e regista californiana Miranda July:New Society – Osservatorio Fondazione Prada di Milano, fino al 14 ottobre.

DI CHE SI TRATTA dunque? L’idea che la organizza in un percorso espositivo cronologico è la stessa che attraversa l’opera di July, e che la performance in questione afferma: esplorare cioè le diverse e complesse relazioni di potere instaurate tra l’artista, il pubblico e l’opera. Mescolando i lavori del passato, i video delle prime performance e quelli delle più note, quali Love Diamond (1998), un archivio personale accuratissimo di oggetti – disegni, manifesti, interventi sullo spazio, abiti – fino alla più recente installazione F.A.M.I.L.Y (Falling Apart Meanwhile I Love You), la mostra curata da Mia Locks illumina una ricerca poetica che in trent’anni ha utilizzato molte forme, tecnologie, sperimentazioni linguistiche – teatro, video, installazioni multimediali – cercando a ogni nuovo passaggio di capovolgere i ruoli e le gerarchie consolidate. Al centro c’è sempre lei, l’artista, regista, performer sul confine ambiguo di una intimità collettiva che si mette in gioco nei personaggi e nei racconti, che interpreta più ruoli, si muove fra i conflitti, «espone» se stessa con fragilità e insieme controllo. In New Society dimostra di dimenticare in scena la battute. Vero o falso? Un vuoto di memoria o una strategia con la quale coinvolgere il pubblico? Che sta al gioco e accetta l’invito lanciato da July: «Restate in teatro con me per tutta la vostra vita».

Sul muro ci sono le camicie verdi che indossava nelle otto repliche dello spettacolo e i pantaloni strappati durante quella storia, e questa strana distanza fra il video e gli oggetti nella loro fisicità moltiplica l’effetto straniante di memoria e insieme di testimonianza di qualcosa che sfugge a ogni documentazione. «I rischi e la vulnerabilità da entrambe le parti erano enormi. E per me, come artista, questo disordine emotivo è forse il materiale più attraente con cui si può lavorare, totalmente effimero, quasi sublime nella sua inafferrabilità. Le migliori tecniche di documentazione non potrebbero catturare ciò che è accaduto su quel palco».

Come artista, il disordine emotivo è forse il materiale più interessante con cui si può lavorare, è del tutto effimero, quasi sublime nella sua inafferrabilità Miranda July
Una sfida questa che July mette in atto sin dai primissimi lavori nei locali punk di cui rimangono come traccia oltre ai video le scarpe che indossava – realizzate da lei e da una sua amica – mentre in scena la sua voce mischia irriverenza, humour, sicurezza, vulnerabilità. E che ritorna nei suoi libri – il 24 giugno uscirà per Feltrinelli il suo nuovo romanzo A quattro zampe (All fours) – o nei suoi film, dall’esordio Me and You and Everyone We Know (2005) in cui interpreta un’artista in cerca di affermazione che si innamora, fino all’ultimo Kajillionaire – La truffa è di famiglia (2020) ispirato come ha detto al complicato rapporto col denaro vissuto in famiglia – sono stati presentati anch’essi alla Fondazione Prada.

Miranda July in «Love Diamond» (1998)

NATA nel 1974, cresciuta a Berkeley, in California, dove i suoi genitori, Lindy e Richard Grossinger gestivano una casa editrice indipendente, July ha frequentato l’Università di Santa Cruz, ma ha abbandonato gli studi al secondo anno prima di trasferirsi a Portland, in Oregon, e iniziare a lavorare come artista performativa frequentando la scena punk. Ha cambiato il suo cognome come atto femminista di «auto-autorialità», ribattezzandosi con il nome di un personaggio che aveva creato con un’amica per la fanzine femminista Snarla. E se il femminismo è un punto di partenza su cui fonda questo costante capovolgimento dei ruoli e dell’ordine delle rappresentazioni (fra i materiali c’è anche un opuscolo di Big Miss Moviola, la rete di distribuzione underground che ha fondato nel 1995 dedicata alle registe donne), i legami i amorosi e familiari, il lavoro, l’impatto psicologico delle nuove tecnologie, a declinarlo è la sua presenza, il suo mettersi in gioco, col corpo che si fa strumento, materia, terreno delle narrazioni di esistenze pensate, inventate, vissute, trasformate nella distanza. E mezzo che ne cambia il segno, che connette lo spazio con le persone, libera un sentimento del ridicolo gioioso e la capacità rara di stupirsi delle cose del mondo.

Le cartografie umane di July si fanno politiche con la stessa leggerezza (in profondità) che rende il vissuto personale materia condivisa, e il gesto creativo si interroga cercando la «collaborazione» dell’altro. Prendiamo F.A.M.I.L.Y: iniziato nel 2020, e ancora aperto, per ora raccoglie i video di sette persone che hanno risposto a una serie di richieste dell’artista su Instagram. Il tema è l’intimità, i partecipanti hanno inviato i materiali nei quali fingono la presenza di July accanto a loro, e lei vi si è integrata in post produzione. Il risultato esprime un concetto di «intimità» punteggiato da riferimenti surrealisti e da una fisicità spiazzante e senza filtri. È un gioco e insieme una delicatissima provocazione su quelli che sono i nostri riferimenti visivi, ancora una sfida con cui inventare un possibile mondo.

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