Visioni

New Neapolitan Power, ai piedi del Vesuvio le ceneri di Gramsci

New Neapolitan Power, ai piedi del Vesuvio le ceneri di GramsciNu Genea con vista sul Vesuvio

Musica Nu Genea, Bassolino, Fitness Forever (e tanti altri), la scena di una città in perenne mutamento. Uno stile difficile da etichettare, le radici negli anni 70, il contesto internazionale e i nuovi processi culturali. Più di James Senese e Pino Daniele riecheggia la voce di Teresa De Sio

Pubblicato un giorno faEdizione del 27 ottobre 2024

Ci piace immaginare il ministro Giuli mentre parla di «retrofuturo eutopico» e di «oscillatori quantici cronosonori» ascoltando un album come Amore e salute dei Fitness Forever, in uscita l’8 novembre. Lo vediamo tracciare archi tra italo disco e yacht rock, raccordare vecchie colonne sonore e tropicalismo, Battisti e Carella; lo sentiamo commuoversi per il triplice feat Peppino Di Capri/Alan Sorrenti/Calcutta. E non lo biasimiamo più di tanto, perché è davvero forte la suggestione revivalista ispirata dall’estetica di un movimento che proietta l’odierna scena napoletana – non solo musicale – sul riflesso sfumato di un’epoca ante-Diegum, tra Marechiaro e il dancefloor.

UNA SCENA connessa da reti a maglie strettissime: basta incrociare i nomi che si avvicendano tra le fila di Nu Genea, Bassolino, Parbleu, Pellegrino, Capinera, gli stessi Fitness Forever e i disciolti Slivovitz. Senza contare operazioni di scavo discografico come i due volumi di Napoli Segreta, che scortano anche l’algoritmo tra le zone d’ombra degli anni Settanta.
Nu funk napoletano, new Neapolitan, Newpolitan Power. L’etichettatrice vacilla come cinquant’anni fa, quando era chiamata ad apporre un codice a «un coacervo di esperienze che ancora non è possibile chiamare una “scuola”», seppur già segno di sviluppo sociale per «una nuova classe operaia urbana, politicamente ed economicamente emarginata, finalmente in grado di esprimersi attraverso una “rivoluzione culturale” musicale» (così Goffredo Fofi su Muzak del dicembre 1976, dedicato alla Napoli contemporanea). Un Black Power partenopeo, a suggellare la latente «negritudine» che aleggia ai piedi del Vesuvio almeno dalla seconda guerra mondiale.

Pur trainato dal folk, quel movimento intesseva un rapporto non certo idilliaco con la canzone classica ormai sinonimo di borghesia (chiedere allo stesso Sorrenti, bersaglio di oggetti vari per aver interpretato Dicitencello vuje in un festival pop) e a dir poco inconciliabile con le «canzoni di giacca» stile Guapparia. Non senza parodia (si ascolti Malavita di Bassolino) la nuova leva revoca l’embargo evidenziando il primo bias di una lettura a cui basterebbe una messa a fuoco leggermente più attenta per riconoscere un panorama ben più complesso della mera replica stilistica: quando riconosciamo i Napoli Centrale nei primi Nu Genea è davvero un calco o piuttosto il comune ricorso a quella che Goffredo Plastino definisce «la propensione della cultura napoletana a riutilizzare materiali» adattandoli alla propria sensibilità? E lo stesso iperrealismo musicale delle nuove produzioni non sarà un mezzo per riappropriarsi della competenza compositiva e performativa caduta in disuso nel mainstream degli ultimi vent’anni?

Bassolino

Continuità e discontinuità, nel nuovo Neapolitan Power, si misurano anche nell’approccio canoro, lontano da quella nuova vocalità urbana di fine anni Settanta circoscritta tra l’urlo di James Senese e lo slang anglonapoletano di Pino Daniele. Riecheggia semmai Teresa De Sio – nelle voci di testa di Lndfk e Fabiana Martone tra le altre – e, in generale, spiccano i timbri femminili resi discogenici da equalizzazioni e raddoppi. Peculiare è lo stesso paesaggio sonoro in cui si svolge la nuova narrazione del genere: se Tony Esposito rappresentava impressionisticamente i suoni cittadini in Processione sul mare (1977), Bassolino sfoca le immagini e le polarizza nella fotografia da b-movie di Città Futura, titolo che cita Gramsci offrendoci un decisivo indizio sul significato più profondo della nuova scena napoletana.

IN OTTICA gramsciana, infatti, la musica – in quanto pratica culturale, sovrastruttura – non è interamente determinata dalla struttura economica, ma influenzata dalla stessa in un rapporto problematico di dominio e subordinazione, campo di lotta ideologica tra quelli che Stuart Hall definisce processi di articolazione, i quali ricombinano gli elementi culturali adattandoli a nuove realtà sociali. È proprio questo il carattere più interessante del New Neapolitan Power, che non solo riarticola l’eredità napoletana sullo sfondo di una nuova urbanità, ma va alla radice socioculturale dei suoi antecedenti, integrandosi nel contesto internazionale (proprio mentre la città è nel pieno della sua turistizzazione) e riportando in scena il corpo attraverso la performance e la fisicità del groove (con un’appropriazione classista più simile a quella recente del Marxist Love Disco Ensemble che all’edonismo della prima discomusic). Più sono forti le connessioni tra elementi culturali diversi, più volentieri si sviluppano «connotazioni incrociate», che in questo caso coinvolgono il cinema, i nastri analogici e la grafica pre-digitale degli anni Settanta.

LA CITTÀ FUTURA gramsciana raccontata dalla nuova musica riconosce la propria complessità di campo culturale e riafferma la propria autonomia, riutilizzando magari i suoi vecchi mattoni, ma rinnovando la rappresentazione di corpi e rapporti di genere (umani e musicali) all’interno di strutture sociali cangianti. Resta da capire se tali mutamenti siano di congiuntura o di situazione, preludi potenziali di nuove «rivoluzioni culturali» non solo per le scene musicali ma per un’intera città all’ennesimo snodo della sua storia sociale. Ci piace pensare che anche il ministro della cultura, battendo il piede in quattro, si accorga di quanto è vasto lo spazio di riflessione tra Marechiaro e il dancefloor.

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