Netanyahu vuole solo negoziati bilaterali, i palestinesi rifiutano
Iniziativa francese Il premier dell'Anp Hamdallah respinge la proposta di un incontro tra Netanyahu e Abu Mazen in alternativa alla conferenza che sta organizzando la Francia per rilanciare le trattative israelo-palestinesi. Intanto l'egiziano al Sisi lancia la sua iniziativa diplomatica parallela
Iniziativa francese Il premier dell'Anp Hamdallah respinge la proposta di un incontro tra Netanyahu e Abu Mazen in alternativa alla conferenza che sta organizzando la Francia per rilanciare le trattative israelo-palestinesi. Intanto l'egiziano al Sisi lancia la sua iniziativa diplomatica parallela
È una disputa che non interessa ai cittadini israeliani e men che meno a quelli palestinesi che neppure riescono ad immaginare il successo di una trattativa con il governo di destra guidato Netanyahu, nel quale sta per fare ingresso un altro ultranazionalista, Avigdor Lieberman, in qualità di ministro della difesa. Comunque sia i leader politici delle due parti – nel caso dei palestinesi ci riferiamo all’esecutivo dell’Anp a Ramallah – sono impegnati da qualche giorno nella battaglia diplomatica innescata dall’iniziativa francese che prevede un summit di ministri degli esteri di vari Paesi sulla questione israelo-palestinese, ma senza israeliani e palestinesi, che dovrebbe tenersi il 3 giugno a Parigi, in preparazione di una conferenza internazionale da organizzare in autunno, stavolta con la presenza dei rappresentanti delle due parti in conflitto. Netanyahu ha respinto la proposta della Francia volta a rilanciare la trattativa mediorientale. Al primo ministro francese Manuel Valls, che ha fatto la navetta tra Gerusalemme e Ramallah, ha detto di essere pronto soltanto ad incontrare il presidente palestinese Abu Mazen in Francia. «La pace – ha proclamato Netanyahu – non si raggiunge con delle conferenze internazionali come quelle dell’Onu. Né si ottiene attraverso diktat internazionali o con comitati dei paesi del mondo che si siedono e cercano di decidere il nostro destino e la nostra sicurezza».
I palestinesi hanno risposto picche, coscienti che solo spostando il negoziato su di un piano multilaterale, quindi internazionale, si può tentare di rimediare al fallimento totale dei colloqui bilaterali, “mediati” dagli Usa, imposti da Israele negli ultimi 23 anni, dalla firma degli Accordi di Oslo in poi. Anche il quel caso però le possibilità di successo sarebbero nulle in assenza di una volontà del governo Netanyahu di arrivare un accordo sulla base delle risoluzioni internazionali e non soltanto delle «esigenze di sicurezza» di Israele. Senza dimenticare il ruolo degli Stati Uniti che si proclamano neutrali ma in realtà sono schierati con le ragioni degli alleati israeliani. Alla soluzione dei “Due Stati”, Israele e Palestina, in verità non crede più nessuno già da alcuni anni di fronte alla costituzione di fatto di ristretti cantoni palestinesi in Cisgiordania frutto della colonizzazione israeliana, della confisca di terre e risorse naturali, della costruzione di strade tra Israele e le colonie e dell’insediamento di popolazione ebraica nel territorio dello “Stato di Palestina”.
«È solo un tentativo per guadagnare tempo, Netanyahu sta cercando di guadagnare tempo…ma questa volta non sfuggirà la comunità internazionale», ha avvertito ieri il primo ministro palestinese Rami Hamdallah dopo l’incontro avuto a Ramallah con Valls. Netanyahu, ha aggiunto, sta cercando di spostare l’attenzione dall’incontro di Parigi e di trasformare il conflitto in uno scontro tra religioni. «Sono 20 anni che discutiamo con gli israeliani senza risultato», ha spiegato Hamdallah. Valls da parte sua ha ribadito che la Francia «è ostinata a raggiungere la pace. E non può più accettare l’immobilismo e lo status quo». Il primo ministro francese ha quindi detto di essere a «favore di negoziati diretti» tra israeliani e palestinesi ma – ha aggiunto – «questi non sembrano essere all’orizzonte». Valls ha evitato di sottolineare le differenze tra Parigi e Tel Aviv precisando che la Francia non vuole imporre una soluzione del conflitto che solo le due parti devono raggiungere. Nei giorni scorsi Valls si era definito un amico di Israele e dichiarato che la sicurezza dello Stato ebraico deve essere garantita. Ma ha anche criticato la costruzione di insediamenti colonici nella Cisgiordania occupata.
All’interno del solco tracciato dall’iniziativa francese si è inserita una variabile tutta da interpretare: la mossa di Abdel Fattah al Sisi. Con l’obiettivo di rilanciare i negoziati israelo-palestinesi, il presidente egiziano starebbe tastando il terreno per organizzare un incontro al Cairo tra Abu Mazen e Netanyahu. Una domanda sorge spontanea. Questa “iniziativa egiziana”, così la definiva ieri il quotidiano israeliano Yediot Ahnonot, è a sostegno di quella di Parigi oppure è stata messa in campo per appoggiare la tesi di Netanyahu, ossia che il negoziato deve avere un carattere solo bilaterale e non essere condizionato da «imposizioni straniere»? Non è peraltro escluso che al Sisi sia soltanto facendo un po’ di fumo per dare maggior peso internazionale a un Egitto finito al centro dell’attenzione, non solo dell’Italia, dopo l’assassinio di Giulio Regeni attribuito da più parti ai servizi di sicurezza egiziani, e per la repressione feroce delle proteste popolari seguite alla cessione (“restituzione”, secondo la posizione ufficiale) all’Arabia saudita delle isolette del Mar Rosso, Tiran e Sanafir.
Sullo sfondo di questi intrecci diplomatici c’è sempre l’occupazione militare israeliana di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est giunta al suo 49esimo “compleanno” e che, credono tanti palestinesi, non avrà fine per merito della conferenza che Parigi sta provando ad organizzare.
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