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Netanyahu tra primarie e minacce ad Abu Mazen

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Israele Il premier ha rinnovato i suoi pesanti attacchi al presidente dell'Anp e ai palestinesi mentre veniva riconfermato alla guida del Likud. Ora si candida ufficialmente per un nuovo mandato da premier alla guida di un altro governo di estrema destra

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 2 gennaio 2015
Michele GiorgioGERUSALEMME

La vittoria, scontata, alle primarie del Likud non ha sottrato tempo alla campagna del premier israeliano Netanyahu contro le iniziative palestinesi alle Nazioni Unite e di adesione ai trattati e convenzioni internazionali. Israele, ha intimato ieri Netanyahu, si aspetta che la Corte Penale Internazionale (Cpi) «respinga in tronco la richiesta ipocrita (di accesso) dell’Anp in quanto essa non è uno Stato, bensì una entità legata da un patto con una organizzazione terroristica, Hamas, che compie crimini di guerra». Il primo ministro e leader della destra israeliana continua ad attaccare con forza la decisione del presidente palestinese Abu Mazen di firmare, due giorni fa, il Trattato di Roma, in modo da consentire alla Palestina di entrare nella Cpi e di potere chiedere l’incriminazione di Israele. E si prepara ora a prendere ulteriori misure punitive contro i palestinesi e ne ha discusso ieri con il governo.

 

Il premier punta ad una riconferma alle elezioni politiche del 17 marzo e, vincendo le primarie del suo partito, ha fatto un primo passo verso quell’obiettivo. Si è anche detto molto soddisfatto dalla nuova lista del Likud emersa dallo spoglio dei voti delle primarie. «È eccellente – ha commentato – e sconfiggerà la sinistra guidata da Tzipi (l’ex ministrra Livni, ndr) e da ‘Buji’ (il laburista Yitzhak Herzog, ndr) ». Poi ha aggiunto «Abbiamo messo a punto una lista equilibrata e responsabile che ci aiuterà a continuare a governare il Paese. Tra i personaggi “equilibrati”, a giudizio del premier, c’è il ministro della difesa uscente Moshe Yaalon. In questi ultimi anni Yaalon si è messo in luce come uno degli esponenti più radicali del governo di destra e per dichiarazioni offensive nei confronti del Segretario di stato Usa John Kerry.

 

 

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