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Netanyahu: «Israele avrà il controllo militare a Ovest del Giordano»

Netanyahu: «Israele avrà il controllo militare a Ovest del Giordano»

Israele/Territori occupati Parlando alla Radio dell'Esercito il premier israeliano ha seppellito l'idea di uno Stato palestinese sovrano e ha negato che le colonie ebraiche nei territori occupati nel 1967 siano un ostacolo alla pace.

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 31 maggio 2017
Michele GiorgioGERUSALEMME

I media internazionali ieri, riferendo di un’intervista radiofonica a Benyamin Netanyahu, hanno scelto di evidenziare la parte in cui il premier israeliano rileva l’avvicinamento in atto tra lo Stato ebraico e una parte del mondo arabo. La sostanza invece era in altre parti. Netanyahu ieri, rivolgendosi anche all’alleato Donald Trump che sostiene di poter arrivare ad un accordo di pace in Medio oriente, ha escluso l’ipotesi di uno Stato palestinese sovrano affermando che Israele non rinuncerà mai al controllo militare dei territori che ha occupato cinquant’anni fa. «L’idea che dobbiamo rinunciare al territorio per raggiungere la pace non è giusta», ha detto Netanyahu ai microfoni di Galei Tzahal, la radio dell’Esercito. «Per assicurare la nostra esistenza dobbiamo avere il controllo militare e di sicurezza su tutto il territorio ad ovest del (fiume) Giordano», ha aggiunto ribadendo il suo impegno per questa condizione in qualsiasi accordo con i palestinesi.

Secondo Netanyahu se Israele rinunciasse al controllo militare sulla Cisgiordania essa presto diventerebbe «una rampa di lancio di missili». E ha affermato che la radice del conflitto non è nella colonizzazione israeliana dei territori occupati nel 1967, bensì nell’intransigenza che, a suo dire, avrebbero i palestinesi nell’opporsi ai diritti del popolo ebraico sulla Palestina storica. «La radice di questo problema è il continuo rifiuto da parte dei palestinesi di riconoscere Israele come patria del popolo ebraico in ogni confine», ha aggiunto il primo ministro (l’Olp invece ha riconosciuto l’esistenza di Israele dopo gli Accordi di Oslo). Quindi ha notato che «In alcuni settori del mondo arabo c’è un cambiamento nei confronti di Israele, dovuto alla comprensione che non siamo suoi nemici ma anzi alleati potenziali di fronte all’Iran e all’Isis». Perciò, ha aggiunto, forse una «riconciliazione avverrà dall’esterno verso l’interno», ossia saranno certi Paesi arabi a spingere i palestinesi ad un accordo con Israele.

Qualcuno ha spiegato queste dichiarazioni come uno spostamento di Netanyahu sulle posizioni dei nazionalisti religiosi del partito “Casa ebraica”, pilastro ideologico del governo in carica. In realtà questa è sempre stata la posizione del premier israeliano. Si parlò di “svolta” quando il primo ministro nel 2009, pronunciando un discorso all’università Bar Ilan, riconobbe il diritto dei palestinesi ad avere un loro Stato. Ma Netanyahu non si riferiva a uno Stato palestinese sovrano, bensì a uno Stato di nome, un protettorato controllato da Israele dove i governi dell’Autorità nazionale palestinese faranno quello che fanno già da 23 anni: asfaltare qualche strada, gestire scuole e ospedali e via dicendo. Insomma, una semplice amministrazione locale. Ieri Netanyahu ha fatto capire che questo obiettivo può e deve essere raggiunto, grazie anche alla strategia che Donald Trump porta avanti con gli alleati arabi del Golfo. Eppure il presidente dell’Anp Abu Mazen resta convinto che Trump gli regalerà un vero Stato di Palestina.

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