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Netanyahu incriminato ma non cede: «rimarrò premier per molti anni a venire»

Netanyahu incriminato ma non cede: «rimarrò premier per molti anni a venire»

Israele L'opposizione invoca le dimissioni del primo ministro rinviato a giudizio per corruzione. La destra si compatta ma la vittoria elettorale ora è più lontana

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 1 marzo 2019
Michele GiorgioGERUSALEMME

«Lo Yehye Klum», in ebraico per «non ne verrà fuori nulla». Per mesi, anzi per anni, Benyamin Netanyahu ha ripetuto questa frase per ridimensionare la portata e la gravità delle indagini in cui è rimasto coinvolto. Aggiungendo «le accuse contro di me crolleranno come un castello di carte». Non è questa l’opinione del procuratore generale Avishai Mandelblit che dopo una attesa durata mesi, e che si era fatta spasmodica nelle ultime ore, ieri ha annunciato la sua decisione di incriminare il primo ministro per corruzione, abuso di fiducia e frode in relazione a tre indagini che lo vedono coinvolto. Il più importante è il “Caso 4000” che riguarda i rapporti tra il primo ministro e il magnate delle telecomunicazioni Shaul Elovitch. Netanyahu, secondo l’accusa, avrebbe favorito in più modi gli interessi di Elovitch, azionista di maggioranza di Bezeq, la più grande società di telecomunicazioni di Israele, in cambio di una copertura mediatica favorevole sul portale d’informazione Walla.

A nulla è valso il ricorso presentato in extremis dal partito di Netanyahu, il Likud, e respinto dalla Corte Suprema, volto a fermare l’annuncio di Mandelblit, perché “inopportuno” in campagna elettorale e favorevole a chi, orchestrando accuse contro il premier vorrebbe «andare al governo senza passare per le urne». Il procuratore generale è andato per la sua strada. Appena ha avuto il via libera dai massimi giudici, ha comunicato la sua decisione, aprendo la strada a molteplici scenari politici. A Netanyahu sarà comunque data l’opportunità di difendersi, in una o più udienze, prima della decisione del rinvio a giudizio formale. Tra i due momenti passeranno diversi mesi e Netanyahu, in ogni caso, non sarà incriminato definitivamente prima delle elezioni del 9 aprile. La legge israeliana non obbliga il premier a dimettersi o a lasciare la corsa elettorale. Peserà il tema dell’opportunità politica ma sono da escludere le dimissioni che invocano i partiti di opposizione.

Netanyahu non si farà da parte e darà il massimo per descrivere gli sviluppi giudiziari come un «complotto», dei suoi avversari in politica e in magistratura, per rimuoverlo dal potere. Se vincerà le elezioni, affermerà di essere stato giudicato innocente dal popolo. Parlando agli israeliani in diretta tv dopo l’annuncio di Mandelblit, Netanyahu non ha espresso alcuna volontà di lasciare l’incarico. Al contrario ha “rassicurato” l’opinione pubblica: «rimarrò primo ministro per molti anni a venire». La sinistra, ha detto, «sta portando avanti una caccia alle streghe contro di me…Sanno che non possono battermi alle urne». Quindi ha ribadito che il procedimento penale non porterà a nulla se non alla sua piena estraneità alle vicende su cui ha indagato la polizia. Ma la sua abilità politica e comunicativa stavolta potrebbe non bastare a salvarlo. A meno di un miracolo, il Likud il 9 aprile non si confermerà il partito più forte. Oggi si conosceranno i risultati dei sondaggi successivi all’incriminazione di Netanyahu ma un sondaggio pubblicato ieri dal Times of Israel indicava in almeno 4 seggi la perdita immediata per il Likud e una crescita sostenuta per la lista centrista “Blu e bianco” dell’ex capo di stato maggiore Benny Gantz e del giornalista Yair Lapid, già data in vantaggio una settimana fa. Non pochi elettori di centrodestra ora dicono di non poter votare un premier nei guai con la giustizia e che rischia seriamente di non portare a termine il suo mandato.

Nella maggioranza di destra al potere è scattato l’allarme rosso. Ieri sera con un comunicato – firmato da tutti i partiti della coalizione ad accezione di Kalanu – si è schierata a favore di Netanyahu: «Ogni persona è innocente fino a prova contraria…il primo ministro Netanyahu sarà il candidato per formare un governo di destra forte e stabile». Nel testo non manca il solito avvertimento sul “pericolo palestinese”: «L’unica lista realmente impegnata nella Terra di Israele deve essere grande e forte per impedire la creazione di uno Stato terrorista palestinese». Per il Likud sarebbe in atto una «persecuzione politica». «Nessuno – afferma il partito di Netanyahu – è sorpreso da un annuncio che arriva dopo tre anni di pressioni continue sul procuratore da parte dei media, della sinistra e dei burocrati della magistratura perché il primo ministro venisse incriminato ad ogni costo, anche se non ha fatto nulla, purché prima delle elezioni».

L’opposizione la vede in modo ben diverso. Netanyahu deve dimettersi subito perché sarà chiamato a lottare per la sua carriera e la sua persona e non per i cittadini israeliani. «Se sei patriota non puoi prendere in ostaggio un intero paese – ha detto la laburista Shelly Yachimovich rivolgendosi a Netanyahu – «nessun essere umano può prendere decisioni cruciali a livello nazionale senza che siano influenzati dalla sua battaglia personale». Sullo stessa linea il Meretz, la sinistra sionista. In serata è intervenuto anche Benny Gantz che ha esortato Netanyahu a farsi da parte perché «non può essere un primo ministro part time».

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