Benyamin Netanyahu ha rovinato la festa ad Abu Mazen. Il presidente palestinese mercoledì sera aveva lasciato il summit in Giordania con il sorriso sulle labbra convinto di essere più forte dopo aver ottenuto dalla Lega araba un chiaro appoggio alla soluzione dei Due Stati e una netta opposizione al trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, annunciato da Donald Trump durante la campagna elettorale. Aveva anche impedito che venisse emendato il piano approvato a Beirut nel 2002 – pace tra arabi e Israele solo con il ritiro dello Stato ebraico da tutti i territori che ha occupato nel 1967 – in modo da renderlo più digeribile al governo israeliano. Era quello che sperava, in modo da presentarsi il mese prossimo alla Casa Bianca con il sostegno in particolare di quei Paesi – come Arabia saudita, Egitto e Giordania – che gli Usa considerano i loro principali alleati arabi. Netanyahu ieri gli ha fatto ricordare che le dichiarazioni dei summit arabi sono soltanto inchiostro su carta mentre sul terreno comanda il più forte, lui.

«Avevo promesso che avrei fondato un nuovo insediamento (coloniale). Avevo preso questo impegno lo scorso dicembre e lo mantengo oggi». Con queste poche parole il premier israeliano ha annunciato ieri la costruzione di una nuova colonia ebraica in Cisgiordania, dove vivrannogli abitanti dell’avamposto di Amona evacuato lo scorso gennaio. Israele negli ultimi 25 anni ha esteso a dismisura gli insediamenti esistenti – tutti illegali secondo il diritto internazionale – in Cisgiordania e a Gerusalemme Est ma non ha costruito una nuova colonia. Ieri sera si attendeva la fine della riunione di gabinetto per avere maggiori informazioni. Qualcuno sussurava che la nuova colonia sarà edificata a ridosso di Maale Adumim, l’insediamento ebraico più grande. «Il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) aveva diversi motivi di essere soddisfatto, voleva e ha ottenuto dal vertice in Giordania un forte appoggio politico e la questione palestinese è tornata in cima all’agenda diplomatica araba», ci ha detto l’analista e docente universitario palestinese Ghassan al Khatib. L’annuncio di Netanyahu, ha aggiunto al Khatib, «ha riportato Abu Mazen alla realtà di una situazione dove le dichiarazioni dei Paesi arabi non hanno alcun peso per Israele. A maggior ragione quando riguardano il piano di pace arabo che Netanyahu non ha alcuna intenzione di adottare, come i suoi predecessori, nonostante offra a Israele la possibilità di raggiungere un accordo di pace regionale».

L’annuncio della nuova colonia potrebbe significare che l’Amministrazione Usa ha dato il suo via libera al progetto. Netanyahu qualche giorno fa aveva parlato di «progressi significativi» nelle trattative con gli Stati Uniti e di un’intesa ormai vicina tra le due parti che consentirà a Israele di continuare a costruire case in Cisgiordania in accordo con l’Amministrazione. Eppure la luce verde al nuovo insediamento viene vista con sospetto dall’ala più radicale della destra, in particolare da quella messianica. I leader dei coloni e delle formazioni più nazionalistiche temono che l’accordo con Trump che limiterà le costruzioni delle nuove case ai principali blocchi di colonie e metterà ai margini gli insediamenti ebraici costruiti in aree più isolate o a ridosso delle città palestinesi. Un’analisi interessante pubblicata dal Jerusalem Post spiegava ieri sera che un’intesa di questo tipo finirebbe per dividere, in due classi, le colonie. In sostanza si darebbe una sorta di riconoscimento agli insediamenti dove saranno edificate le nuove case e un marchio di illegalità, anche agli occhi dell’alleata Amministrazione Usa, a quelle dove invece non saranno attuati programmi di sviluppo. Con la conseguenza di aprire la strada ad una possibile evacuazione del secondo gruppo di colonie in caso di un accordo con i palestinesi ad un futuro tavolo di trattative.

L’annuncio di Netanyahu è giunto mentre migliaia di palestinesi, in Israele e nei Territori occupati, commemoravano il 41esimo anniversario del Giorno della Terra – che ricorda le sei vittime del fuoco aperto dalla polizia contro i dimostranti in diversi villaggi della Galilea il 30 marzo del 1976 durante le proteste contro le confische di terre arabe – con manifestazioni e altre iniziative. nei territori occupati del 1967 e nelle aree a maggioranza araba in Israele. Il raduno principale si è svolto nel villaggio di Deir Hanna, in Galilea. Cerimonie e visite alle tombe delle vittime di 41 anni fa si sono svolte a Taiba, Kufr Kanna, Sakhnin e Arrabah. Gli abitanti del villaggio beduino di Umm al Hiran, nel Neghev, demolito più volte dalle autorità israeliane perché “illegale”, hanno piantato alberi e ricostruito alcune delle case distrutte di recente. Manifestazioni e cortei si sono svolti anche in Cisgiordania e a Gaza.