Nessuno ha salvato il soldato Scieri
Nonnismo omicida La commissione parlamentare di inchiesta sulla morte del giovane parà, rimasto tre lunghi giorni cadavere all'interno della caserma Gamerra della Folgore, ricorda la tragedia e anticipa possibili novità sull'omicidio.
Nonnismo omicida La commissione parlamentare di inchiesta sulla morte del giovane parà, rimasto tre lunghi giorni cadavere all'interno della caserma Gamerra della Folgore, ricorda la tragedia e anticipa possibili novità sull'omicidio.
La sera del 13 agosto 1999, un venerdì, la recluta Emanuele Scieri rientrava dopo la libera uscita nella caserma Gamerra, centro di addestramento della brigata paracadutisti Folgore. Per il giovane siciliano, laureato in legge e futuro avvocato, era stato il suo primo giorno alla Gamerra, da dove peraltro se ne sarebbe dovuto andare pochi giorni dopo, avendo deciso di non fare più il parà nel corso del suo anno di leva obbligatoria. Nonostante più di un testimone avesse visto Scieri all’interno della Gamerra, al contrappello notturno non rispose. E, con una leggerezza inaudita per qualsiasi caserma, fu sbrigativamente dato per assente.
Tre lunghissimi giorni dopo, il cadavere del ragazzo fu “ritrovato” nel perimetro della Gamerra, ai piedi della torre di asciugamento dei paracadute. A nemmeno cinque metri dal muro di cinta, che in ogni caserma dell’esercito viene pattugliato con regolarità dal Pao, Picchetto armato ordinario. Solo un muretto di nemmeno mezzo metro separava il corpo di Scieri dal percorso del Pao. Eppure in quei giorni, almeno ufficialmente, nessuno si accorse del cadavere di un soldato, affidato dalla famiglia allo Stato per l’intera durata della leva. Sempre in quei giorni, lo scaglione dei congedanti lasciava la Gamerra.
Quasi comiche, se non si fosse trattato di una tragedia, le reazioni dei vertici della caserma. Il comandante in quei giorni era in ferie (sarebbe stato comunque rimosso), mentre il suo vice si fece subito intervistare dal Tg3 della Toscana, blaterando che la recluta, in perfetta solitudine, era rimasta vittima di una “prova di coraggio”: avrebbe cercato di arrampicarsi sulla torre di asciugamento, e da lì sarebbe “ accidentalmente” precipitato.
In realtà l’autopsia sul corpo del ragazzo rivelò alcune ferite sul dorso della dita, come se fossero state schiacciate. Di più: l’esame rivelò che, nonostante le gravi ferite riportate, Scieri non era morto subito. Se fosse stato soccorso, sarebbe ancora vivo. Nel frattempo la timida testimonianza dell’ex commilitone di Scieri, Stefano Viberti, l’ultimo a vederlo, non fece fare passi avanti a una indagine progettata male e finita peggio. Dopo inspiegabili titubanze, la procura di Pisa iniziò – mesi dopo – a ipotizzare l’omicidio volontario. Quando era già chiaro che attorno al caso Scieri si era alzato un muro di gomma, a partire dagli stessi commilitoni.
Nemmeno per un secondo, ufficialmente, la magistratura requirente pensò ad una inchiesta per omicidio colposo, nonostante l’evidenza di un soldato cadavere per tre giorni all’interno di una caserma. Sarebbe stata l’occasione per portare il caso davanti a un giudice in un processo pubblico, con la possibilità di interrogare testimoni in contraddittorio con le difese e le parti civili. Un’occasione per puntare una luce sulle pratiche di nonnismo che segnavano la vita dei coscritti, scaglione dopo scaglione, anche nel corpo dei parà.
Ieri una delegazione di deputati guidati dalla dem Sofia Amoddio, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Scieri, ha deposto una corona di fiori sotto la torre di asciugamento. Poi Amoddio ha rivelato che, tra le persone ascoltate finora, e le cui deposizioni sono state secretate “per mantenere la cosiddetta genuinità della prova, c’è anche chi ci ha consegnato nuovi elementi molto interessanti, mentre tutti hanno ammesso che in quella caserma si perpetravano atti di nonnismo, e che dopo la morte di Scieri il clima è radicalmente cambiato”.
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