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«Nessuno ci ha avvisati, solo il rumore di pioggia e fango»

«Nessuno ci ha avvisati, solo il rumore di pioggia e fango»Pianello di Ostra – Ansa

Reportage È polemica per il mancato allarme a Pianello di Ostra, piccola frazione tra le più colpite

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 17 settembre 2022
Lavinia NocelliPIANELLO DI OSTRA (ANCONA)

Fabrizio dice che l’acqua di notte è spaventosa. «La senti», fuori dalla finestra che scorre e trascina tutto quello che trova nel cammino: rami, cassonetti, foglie, detriti, macchine. «Me ne è rimasta una, le altre tre non so. Saranno insieme alle altre venti, trenta nel fosso». Vai a vedere quello che rimane. Il fango gli impiastra i capelli, le mani, i vestiti: dietro di lui la casa è sventrata dalla melma, che sembra essersi appiccicata ovunque. È come una colla, quando ti arriva addosso devi grattarti la pelle per mandarla via. «Eravamo a cena dopo gli allenamenti», poi è arrivato il primo allarme, l’agitazione, l’ansia, il ricordo di otto anni fa, e solo dopo l’acqua. «Una muraglia», mima Fabrizio, e poi il buio. Solo un fiume nero che scorre fuori a un palmo dalla sua faccia, silenzioso.

LE MARCHE SONO UN ORIZZONTE di mare e colline ingobbito da terremoti e alluvioni: l’ultima che otto anni fa colpì il territorio fece tre morti, incanalandosi nella medesima valle, quella del Misa. «Fu più piccola», e meno violenta, e oggi è già polemica per il mancato allarme a Pianello di Ostra, piccola frazione tra le più colpite. Ci si sposta tra pozze e cumuli terrosi, dove gli stivali si incastrano risucchiandoti a terra: le case per la maggior parte sono aperte alla vista dei passanti, che trasportano secchi di detriti, oggetti da buttare, legni sparsi. Ci sono foto a terra, libri che diventeranno inutilizzabili quando il fango si asciugherà, e lenzuola a tamponare i danni: è irreale il disastro, ma quando l’hai già vissuto ti fa meno effetto.

Il signor Maurizio stringe una bottiglia d’acqua, con il fango che gli copre le gambe dal ginocchio in giù, come tutte le persone del luogo. «Sentivo delle voci», dice, era la signora del palazzo davanti che lo chiamava. «E allora vedo la macchina che si muove, galleggia». Lui e la moglie sono presi dal panico – «usciamo», dice lei -, ma la luce è già saltata, la corrente è troppo forte, e Tiziana, la moglie, cade. «Ci aggrappiamo qui, al cancello», per tre ore, con il gelo che gli entra nelle ossa. Avete mai sentito quant’è fredda la melma di notte? Poi qualcuno lancia un tubo, la porta si apre, l’acqua inizia a scemare. «Abbiamo visto la morte. Ho abitato per 63 anni a Pianello», è tempo di andarsene.

I MILLEQUATTORDICI ABITANTI della città li vedi tutti in giro, poi incontri i Vigili del Fuoco, la Protezione Civile, qualche politico che sfila lontano, e soccorritori venuti dai paesi vicini. È il meccanismo burocratico che si attiva quando ci sono le tragedie, ma quando passano i giorni la fatica si accumula, le immagini sono sempre le stesse e non ci sono più dettagli da aggiungere a quelli dei giorni passati. Un gruppo di fratelli toglie i detriti da casa, sono in tre e hanno l’attività poco distante. «Abbiamo sentito dei rumori da fuori. Ci siamo affacciati alla finestra, e il fiume era pieno, così siamo corsi al campo per salvare il salvabile. Nel giro di qualche minuto l’acqua si è alzata», e la strada per tornare a casa è buia.

Il fiato si perde tra l’acqua che scheggia i visi e il vento che tira via le foglie dagli alberi. «Siamo qui», e questo basta per ora. Quando eventi come questi si ripetono in breve tempo la rabbia fa prima a salire: i ricordi emergono, così come le domande del caso. Perché non è stato dato l’allarme. Perché nelle altre città sapevano. Chi mi ridarà i soldi. Ho perso tutto, non ho più un lavoro: cosa faccio lunedì? «Mi hanno chiamato dalla montagna per chiedermi quello che stava succedendo, ma qua nessuno sapeva nulla. Perché?».

C’È UN GRUPPETTO CHE PARLA concitato, le donne si aggrappano l’una sull’altra, gli occhi sono lividi di fatica e di rassegnazione, come a voler dire: ci siamo già passati, sappiamo che nessuno farà nulla. «Pianello è piena di piccoli imprenditori, che a loro volta danno lavoro a tante famiglie». «La mia azienda è inagibile, non riescono neanche a tirare via l’acqua». «Sono impostori, impostori». Una ragazza racconta che ha saputo dell’alluvione da una amica di un paese vicino, «è stata lei ad avvertirmi. Non ne sapevo nulla». Viene da chiedersi come funzioni la comunicazione in questi casi, se in 15-20 km di collina non si riesce a dare un allarme generale che serva, o provi, a contenere i danni. «Sentivo solo il rumore da fuori, costante». Piove per ore, e tutto diventa fango.

C’È SILENZIO QUANDO ARRIVA il fiume di fango: non fa un suono quando ti blocca in macchina e ti soffoca lentamente, né quando ti entra sotto l’uscio di casa. Poi si mangia i campi, i raccolti, l’acqua. Una volontaria della Croce Verde dice che non c’è più acqua potabile, e che quella che c’è non è sicura. «Ci sono state delle infiltrazioni», anche nel metano. «E siamo senza luce e gas. Sono arrivati i generatori di emergenza».

È la prima notte, quella che fa più paura, quella in cui si è tutti vicini, uniti nella stessa disgrazia: si pensa alla mattina successiva, a quando si ricomincerà a lavorare per salvare il salvabile, agli amici che arriveranno in soccorso a dare una mano, alla forza di volontà che ancora resiste perché la stanchezza non è ancora subentrata. È la prima, la più lunga, quella con più speranze: lì ci si aggrappa nella tragedia.

OTTO MACCHINE SFRECCIANO nello sterrato alzando un po’ di polvere, il presidente Mario Draghi è arrivato, ma non c’è posto a sufficienza per le sue parole: le macchine girano e tornano indietro, qualcuno bofonchia qualcosa. Dirà a Ostra, comune poco lontano: «Sono qui per esprimere la vicinanza e la solidarietà del governo, e quella mia personale. Ho sentito le testimonianza dei sindaci dei paesi colpiti, testimonianze profonde che commuovono e lasciano un messaggio che lasciano un messaggio che porto io e trasmetterò al resto del governo: testimonianza che parlano della voglia di ricominciare, di ripartire ma anche del lutto della tragedia».

«Sentivo le onde del mare», dice la signora Rosa. Chiusa in casa ha ascoltato il fiume travolgere la città dov’è cresciuta. C’è la distruzione ora, verrà anche il tempo per realizzare, solo dopo quello per ricostruire.

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