Cultura

Nessuna pandemia cancella le disuguaglianze di ricchezza

Nessuna pandemia cancella le disuguaglianze di ricchezza«La peste di Azoth» di Nicolas Poussin (1630)

Scaffale «La Grande livellatrice» di Walter Scheidel, uscito per Il Mulino. I cambiamenti più profondi si produssero nell’economia e sul mercato del lavoro. La peste era arrivata in Europa dopo che la popolazione si era triplicata

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 14 marzo 2020

Ed ecco che puntualmente sui giornali appare la retorica del «nulla sarà come prima». Si preconizza, dopo la pandemia, un mondo migliore e più giusto. Perché e con quale profondità? Avremo dopo il coronavirus davvero un futuro, più equo e con meno disuguaglianza? Come spiega Walter Scheidel in La Grande livellatrice, ponderoso libro edito dal Mulino (pp. 640, euro 35), solo grandi guerre, rivoluzioni, fallimenti di stati ed epidemie si sono mostrate efficaci per cambiare il mondo. Nel caso di pandemie come la peste del ‘300 la popolazione europea si era ridotta del 30-45%. Il coronavirus si fermerà su scala molto più bassa. Però ha un pregio per le élite: se bloccano il contagio legittimeranno il loro potere e la disuguaglianza.

Le epidemie, scrive lo storico austriaco, sono il «Quarto Cavaliere» dopo gli alti tre, guerre, rivoluzioni e crolli di stati e imperi. Si differenzia dagli altri fattori in quanto coinvolge altre specie anche se in termini non violenti ma certi attacchi di batteri e virus sono stati molto più letali di tutti i disastri causati dall’uomo.

LA MORTE NERA, la peste del Trecento descritta da Decameron Di Boccaccio, ha avuto straordinari effetti sulla demografia e i rapporti di forza dentro la società medioevale in Europa e oltre: questa pandemia ha mutato radicalmente per più di un secolo e mezzo la relazione tra terra e lavoro, fu un grande livellamento che portò al crollo delle rendite fondiarie e all’impennata del costo del lavoro. In poche parole i ricchi di prima furono meno ricchi e i poveri meno poveri e con maggiore potere contrattuale.

La Morte Nera ci mise un po’ a viaggiare, ma non così tanto come si può supporre oggi. La peste, causata da un ceppo batterico che colonizza il tratto digestivo delle pulci per poi infestare ratti e altri animali, scoppiò nel Deserto del Gobi intorno al 1330. Fu denominata «bubbonica» per la tremende tumefazioni a inguine o ascelle dove di solito si infilano le pulci. Una sua seconda versione è la peste polmonare che si trasmette tra gli umani con le goccioline trasportate dell’aria.

Le rotte carovaniere dall’Asia centrale furono i veri canali di diffusione: 15 anni dopo il Gobi la peste raggiunge la Crimea nel 1345 dove si propaga alla marina genovese durante l’assedio di Caffa (Feodosia) quando esplose la pestilenza tra i tartari che assediavano la città. Ma da lì comincia a correre veloce.

DOPO DUE ANNI la peste era a Costantinopoli, quindi passò il Bosforo e toccò Alessandria d’Egitto. Le navi genovesi la portarono in Sicilia nel 1347, un anno dopo nel 1348 si era propagata da Parigi al Nord Europa e all’Italia. «No come uomini ma quasi come bestie morieno», si legge nel Decameron: 24 milioni le vittime secondo le stime del Vaticano.

La popolazione europea scese da 94 milioni nel 1300 a 68 milioni nel 1400. La grande livellatrice aveva tagliato di un quarto gli europei ma anche il Medio Oriente e l’Asia. «L’intero mondo è cambiato», scriveva il grande storico arabo Ibn Khaldun.

E I CAMBIAMENTI più profondi si produssero proprio nella sfera dell’economia e sul mercato del lavoro. La Morte Nera era arrivata in Europa dopo tre secoli che la popolazione, a partire circa dal Mille, si era triplicata per una combinazione di fattori, dai miglioramento dei metodi di coltura agricoli alla riduzione dell’instabilità politica. Con un’abbondanza di bocche da sfamare erano cresciuti i prezzi del cibo mentre la pressione demografica aveva ridotto il valore del lavoro e quindi anche i redditi reali. La Morte Nera portò a una drammatica diminuzione della popolazione ma lasciò intatte le strutture, ovvero la terra: grazie a un’accresciuta resa dei terreni la produzione scese meno della popolazione producendo un aumento del prodotto pro capite del reddito medio.

LA TERRA ERA DIVENTATA più abbondante del lavoro e i proprietari furono messi sotto pressione da richieste di aumenti salariali. In Francia, Inghilterra e nelle signorie italiane le istituzioni e il potere si scatenarono in ordinanze per calmierare le richieste ma in gran parte vennero disattese. I redditi dei lavoratori raggiunsero un picco all’inizio del 1400: ci volle più di un secolo perché i salari reali cominciassero a scendere per allinearsi intorno al 1600 ai livelli antecedenti l’epidemia di peste bubbonica. Questo avveniva in Europa ma anche nel Mediterraneo orientale: i registri ottomani degli operai edili di Istanbul mostrano che i redditi reali rimasero alti fino alla fine del 19 secolo, il che sottolinea la straordinaria espansione legata alla peste.

Gran parte della nostra conoscenza sul ruolo delle pandemie nel livellamento della disuguaglianza è abbastanza recente. Ma questo può avvenire ancora? La riposta di Schneidel è piuttosto decisa. Oggi occorrerebbe la morte di centinaia di milioni di persone, cosa che supera gli scenari più pessimistici. E non è per niente sicuro che una pandemia possa livellare la disuguaglianza di reddito o di ricchezza come avvenne nell’era agraria.

PER ESEMPIO la spagnola del 1918-20 provocò dai 50 ai 100 milioni di morti ma siccome i suoi effetti si mescolarono a quelli della guerra non si può dire se abbia avuto una conseguenza significativa sulla redistribuzione delle risorse materiali E poi oggi, dice lo storico austriaco, la società è assai più sofistica: dall’informatica, ai robot, alle biotecnologie e alla loro applicazione all’uomo. Eppure l’epidemia continua come un tempo a fare paura, l’essere umano continua a essere troppo umano.

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