Prima del suo set all’Atlantic Music Expo, Marcos Roberto De Lacerda Veiga è in fibrillazione: le sue origini familiari sono capoverdiane e angolane, il suo progetto Scuru Fitchadu («nero profondo» in creolo capoverdiano) riprende il funaná, che della musica popolare capoverdiana è uno dei generi più sulfurei, ma Marcos è nato e vive a Lisbona e al Capo Verde ci si trova per la prima volta, perché non ha mai voluto venirci da turista, anche se adesso medita un soggiorno lungo per familiarizzare direttamente con il mondo musicale che lo ha affascinato e fare ricerche sul campo. «È il mio battesimo del fuoco», dice. Marcos da ragazzo ha ascoltato punk, metal, hip hop: la musica capoverdiana non era nei suoi interessi. Poi ha cominciato ad entrarci in sintonia e qualche anno fa ha iniziato a sperimentare una fusione. In Portogallo esiste tutta una scena che mescola rock, elettronica, musiche giovanili e ritmi dell’Africa lusofona, con progetti e gruppi come Batida e Buraka som sistema, e Scuru Fitchadu ne fa oggettivamente parte, ma Marcos non si è mosso nella scia, il suo è stato un percorso individuale.

LA SERA, sul palco nella Rua Pedonal del Plateau – i concerti sono gratuiti – sono in quattro: con Marcos una vocalist e ballerina, Marcia Isabel Monteiro, più percussioni e sampler ed elettronica. Pantaloni corti, magliette nere, tatuaggi, look da centro sociale. Elettronica martellante, su ritmo di funaná; la voce di Marcos è in modalità hardcore/grind, Marcia si dimena e agita una criniera di lunghe trecce; nell’effervescenza di un brano Marcos prende un tubo di metallo e lo sfrega ritmicamente, come nel funaná; in un altro imbraccia la concertina, suonandola su un ritmo indiavolato, finché la concertina rimane suggestivamente da sola. I pugni chiusi che Scuru Fitchadu alza spesso lasciano intuire qualcosa dei contenuti politicamente profilati, anticoloniali, antimperialisti. Vanno avanti a perdifiato. Di fronte ci sono giovani, ma anche persone anziane che restano ad ascoltare; dei bambini ballano felici. Il test è superato di slancio.

La prima delle tre serate nella capitale, invece, al palazzo della Assembleia Nacional, sfoggia Os Tubaroes, un classico della musica capoverdiana moderna, formatisi a Praia nel ’69

POCO DOPO, nel rapido avvicendarsi dei due palchi allestiti per due sere al Plateau, in Praca Luis Camoes è la volta di Trakinuz, un rapper che va per la maggiore: parte fortissimo, va di funaná, voce profonda, poi si perde un po’ con un omaggio a Cesaria, con un Sodade intercalato da passaggi hip hop, e col suo hit Judite, che è piaciuto anche ai ballerini di Beyoncé: ma è un personaggio interessante, che con la forza espressiva e con contenuti «conscious» ha fatto breccia anche tra generazioni di capoverdiani non giovanissimi.
La prima delle tre serate nella capitale, invece, al palazzo della Assembleia Nacional, sfoggia Os Tubaroes, un classico della musica capoverdiana moderna, formatisi a Praia nel ’69, arrivati ad un grande successo con l’indimenticato cantante-intellettuale Ildo Lobo (mancato prematuramente), poi scioltisi e quindi nel nuovo millennio riformatisi: sono dei veterani del gruppo, con un giovane cantante e nuovi arrangiamenti, freschi, scattanti, un po’ jazz.
L’Atlantic Music Expo è nato nel 2013, per iniziativa di Mario Lucio, cantante, compositore e scrittore, e all’epoca ministro della cultura: l’idea era di fare qualcosa che nel rapporto della musica capoverdiana con la sua affermazione internazionale – non priva di benefici effetti sull’immagine e sul turismo del paese – contribuisse a riempire il vuoto lasciato dalla morte di Cesaria Evora: una manifestazione che attirasse al Capo Verde addetti ai lavori e operatori del settore. Sette edizioni fino al 2019. Nel frattempo il cambiamento di governo ha messo a rischio la ripresa dopo due anni di stop. Alla fine, si è ricominciato non solo a Praia, ma per la prima volta anche con due sere di apertura (più dibattiti workshop, ecc.) in due piazze di Mindelo, la città di Cesaria, accolte subito con molta partecipazione dalla popolazione.

IN CARTELLONE non solo musica del Capo Verde e della sua diaspora: ma più che il resto, con alchimie di world music a volte dubbie, è proprio la musica dell'(o ispirata dall’) arcipelago che quest’anno ha fatto la parte de leone. Anche con la semplice forza del cantare. Al Palacio da Cultura intitolato a Ildo Lobo a Praia, Mario Marta, che ha molto successo, sfodera una comunicativa contagiosa, con una musica ariosa: sembra proprio nato per cantare, che sia morna o coladera. Morna o coladera anche per Natch: giovanissimo ha avuto un promettente inizio di carriera, ma poi si è perso, per problemi personali. Adesso ha sessant’anni e c’è chi nella diaspora in Francia si è preso a cuore il suo caso. Uno showcase, sempre al Palacio da Cultura, fa colpo: l’understatement, lo charme. Si ha all’improvviso l’impressione di trovarsi di fronte un classico, come trent’anni fa con Cesaria.