Più che un’esperienza meramente uditiva, la nuova scena psichedelica è una sfida alla percezione sensoriale ordinaria, un’immersione di natura crossmediale che parte dalla musica per esondare nel videoclip, negli artwork dei supporti fonografici e naturalmente nella performance live. Mutuando gli elementi basilari della psichedelia classica anni Sessanta/Settanta e surclassando i limiti di genere, gli artisti della nuova generazione hanno abbracciato le tecnologie digitali per intrecciare il rock con il beat elettronico, l’approccio free con gli eccessi noise, le accelerazioni garage con l’elegia world. L’obiettivo è quello di frantumare le barriere del preesistente, espandere la coscienza del fruitore e innestarla in un percorso di coinvolgimento dirompente. Un mood in cui riverberi e dilatazioni, mutazioni ritmiche e frantumazione melodica, movimenti fluidi e pattern intricati sono capaci di creare esperienze uditive e visive sorprendenti e deflagranti.

LIBERTÀ CREATIVA

Se dunque la psichedelia del passato si costruiva attraverso chitarre (con effetti fuzz e wah-wah), basso, batteria e tastiere analogiche, la tecnologia del presente si nutre di un’ampia gamma di strumenti virtuali, effetti digitali e tecniche avanzate di produzione, che consentono di manipolare i suoni in modo preciso e sperimentare con layering e sovrapposizioni di tracce. Questa libertà creativa ha ampliato le possibilità espressive e ha consentito la creazione di collage sonori unici e complessi, che ora possono seguire liberi il flusso della diffusione web prescindendo perfino dalle gabbie di spazio e tempo proprie dei supporti fisici discografici. Ovviamente, in un universo creativo così espanso, tentare una mappatura della nuova psichedelia significa automaticamente stilare una catalogazione per certi versi incompleta e fuorviante, ma questo percorso sonoro intende aprire delle porte ad un ascolto volutamente composito, ricco di suggestioni e di magnifiche detonazioni.

TRA DUE MONDI

Il suono rock della psichedelia anni Sessanta torna a rivelarsi al pubblico alternative grazie a una manciata di band provenienti principalmente da Los Angeles, capaci di mettere a punto una potente combinazione di rock, psych rock, punk e accattivanti melodie pop. Affascinati da leggende come Byrds, Love, Beatles, Velvet Underground e Beach Boys, negli anni Ottanta i musicisti della scena Paisley Underground prediligono la chitarra jangly (perfetta con quella sua aria eterea, perfino sognante), i suoni cristallini e armonici, il sound riverberante e luminoso. L’album di debutto del 1982 dei Dream Syndicate, The Days of Wine and Roses rappresenta il manifesto di quella scena arrivata dal basso, fatta da una trentina di ragazzi che alternavano alcol e grigliate con la passione per chitarre Gibson e un suono che oggi si potrebbe definire rétro. Da quel gruppo di amici vengono fuori le rasoiate psych dei True West, il folk onirico dei Rain Parade, le gemme pop decisamente Sixties dei Three O’Clock e le primissime cose delle Bangles (sì, proprio le stesse che poi esplosero a livello mainstream con Manic Monday e Walk like an Egyptian). Nel 1987, circa al termine dell’avventura Paisley Underground, arriva anche il gioiellino Happy Nightmare Machine, l’unico album in studio degli Opal, formazione dal profumo «barrettiano» dalle cui calde ceneri nasceranno – senza soluzione di continuità – i magnifici Mazzy Star. Menzione speciale è da ritagliare per la compilation di cover anni Sessanta Rainy Day, uscita per Rough Trade nel 1983 e che, col suo approccio sognante e psichedelico, ha contribuito a consolidare l’influenza della scena Paisley Underground in quello scampolo di anni Ottanta.

UNA RIVELAZIONE

Mentre una pletora di band rinsaldava la propria ispirazione psych nei long playing di vent’anni prima, nel 1982 a Rugby, in Inghilterra, Pete «Sonic Boom» Kember e Jason Pierce (noto anche come J. Spaceman) iniziavano l’esplorazione di un nuovo suono di origine altamente psicotropa e fondavano gli Spacemen 3. Da allora le cose non saranno più le stesse e il rock di memoria Velvet Undergound si mischierà con il minimalismo di La Monte Young e i lavori di Brian Eno, le chitarre stridenti affronteranno le tempeste drone e le dissonanze si protrarranno su impervie stratificazioni sonore. L’ipnorock di questi astronauti immaginifici fece da anticipatore non solo alla nuova psichedelia noise-isolazionista, ma a tutto quel movimento che in Gran Bretagna e Stati Uniti verrà definito slowcore e/o post rock. Accade così che le avanguardie storiche incontrino alfine il gospel e il country blues, i testi di natura spirituale e trascendenti si sovrappongano a un songwriting basato sull’alterazione di coscienza e la ricerca di pace interiore venga indotta dall’assunzione di sostanze. Sebbene travagliati da conflitti interni e tensioni creative, gli Spacemen 3 hanno pubblicato delle pietre miliari come Sound of Confusion (1986), The Perfect Prescription (1987) e Playing with Fire (1989) prima di arrivare all’inevitabile scioglimento. Da allora Sonic Boom ha seguito una strada più impervia, pienamente nel solco Spacemen 3, esplorando le dilatazioni ambient e le intromissioni noise col moniker di Spectrum, arrivando di recente a una rinnovata notorietà nella collaborazione con Panda Bear degli Animal Collective. Jason Pierce ha invece fondato gli Spiritualized, giungendo nel 1997 all’apice delle classifiche delle riviste specializzate con il capolavoro Ladies and Gentlemen We Are Floating in Space. Avventurandosi fra suoni psichedelici, rock orchestrale e gospel, Pierce passa attraverso delusioni amorose e cambiamenti esistenziali, problemi di droga e successo internazionale, mantenendo costante il livello della sua musica anche nel recente Everything Was Beautiful (2022).

LA DENSITÀ DEL SOGNO

Nel 1991 la Creation Records pubblica un album che cambia la storia della musica moderna. Loveless, dei My Bloody Valentine, è il disco che manda quasi in bancarotta l’etichetta di Alan McGee e che rivoluziona il suono di chitarre e il concetto di noise, ampliando le possibilità del pop e ispirando le generazioni di musicisti che seguiranno. Sebbene questa collezione di 11 brani sia unanimemente considerata la vetta dello shoegaze, oggi appare riduttivo costringere questo album nelle maglie di un singolo genere, dato che il disco concepito da Kevin Shields e soci esplora in maniera inedita tutte le possibilità della produzione in studio. Il risultato è un potentissimo alternarsi di layer in collisione, dove canto etereo, muri di chitarre, rumore a decibel sparatissimi, rasoiate elettriche e composizione appassionata convergono in un’opera dai tratti psichedelici e perfino surreali. Lo sviluppo mesmerico delle tracce e l’obliquità del suono dei My Bloody Valentine raccoglie un’eredità psych letteralmente reinventata dalla band scozzese, che fornisce un’angolazione inedita alle estetiche del rock alternativo tramite l’utilizzo di effetti come il tremolo, il phaser e il chorus per creare una densa parete di suono.

MATRICE GARAGE

A metà degli anni Duemila la nuova scena psichedelica di matrice garage è appena agli albori e i texani Black Angels, da poco formatisi, intrecciano il loro destino con il padrino di questo genere: Roky Erickson dei 13th Floor Elevators. Sarà da lì che una vera e propria wave internazionale, che spazia dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dall’Australia al Sud Africa, prenderà piede e si imporrà a livello internazionale. Il merito è anche del Levitation Festival, l’appuntamento annuale fondato nel 2008 ad Austin proprio dai Black Angels. Obiettivo: riunire artisti e pubblico che sono alla ricerca della sperimentazione (non solo) rock, un traguardo decisamente raggiunto, basti guardare la line-up dell’edizione 2023 in programma il prossimo ottobre. La scena globale psych comincia dunque a propagarsi, in primis grazie ai densi e lisergici Warlocks, che inseriscono riff potentissimi in lunghe jam strumentali e improvvisate. Dall’Islanda i Dead Skeletons usano drone per ripensare la musica tribale, costruendo ritmi ipnotici e ripetitivi, ma anche evocando un senso di misticismo e connessione con l’aldilà attraverso richiami a rituali sciamanici e pratiche spirituali. La canadese Tess Parks – per molti versi definibile come una Cat Power in acido – unisce melodie malinconiche a memorie folk, chitarre distorte ad atmosfere sognanti, ritmi psicotropi su voce velvettiana. Il suo lavoro con Anton Newcombe dei The Brian Jonestown Massacre l’ha fatta svettare nell’ambito underground, ma è proprio la libertà creativa della band di San Francisco a sembrare una delle sue fondamentali ispirazioni artistiche. Introspettivi e riflessivi, ma capaci di scariche post punk che si infrangono in un vortice ipnotico, nei loro testi i Brian Jonestown Massacre esplorano le relazioni complicate e i desideri romantici, le disillusioni e le aspettative infrante, la solitudine e l’empatia. E poi ancora gli Underground Youth, per metà mancuniani e per l’altra berlinesi, che escono per la fondamentale label di Londra Fuzz Club Records e si struggono fra reminiscenze new wave e riverberi di chitarra. Oppure i monolitici Black Mountain, che partono dal Canada con un imprinting decisamente stoner per passare al progressive, avanzare impetuosi verso l’hard e dissolversi nella psichedelia rock, anche grazie alle voci di Stephen McBean e Amber Webber.

GLI ANNI DIECI

Arrivano gli anni Dieci e il garage rock di matrice psichedelica è ormai esploso con impetuosa e travolgente ambizione. A guidare il plotone di musicisti votati a questo suono c’è senza dubbio John Dwyer, geniale musicista, cantautore e produttore discografico di San Francisco. La sua creatura più nota si chiama Oh Sees (già Thee Oh Sees e Osees), probabilmente la più innovativa e folgorante rock band del pianeta, che avvolge le proprie infuocate session live e in studio con un ineguagliabile approccio sperimentale psych. Iper prolifici fino a sfiorare il parossismo (parliamo di quasi 30 album negli ultimi 20 anni e un mucchio di singoli, ep, album live e side project) ma soprattutto capaci di spaziare attraverso qualsiasi istigazione sonora, gli Oh Sees spezzano le trame del già sentito per buttarsi a capofitto in cavalcate elettriche, ritmi epilettici, imprevisti elettronici, cantato veemente e sessioni dal vivo assolutamente travolgenti. Non paghi di una discografia francamente ineccepibile, Dwyer & friends hanno all’attivo un’incredibile quantità di progetti paralleli, fra i quali spicca proprio la serie più votata all’improvvisazione pubblicate da Rock Is Hell Records e dalla Castle Face (quest’ultima gestita dallo stesso Dwyer). Energia, sperimentazione e atmosfere lisergiche sono poi alla base di un’altra formazione costantemente impegnata a pubblicare vinile, gli australiani King Gizzard & The Lizard Wizard. Eclettici fino allo sfinimento, capaci di rimbalzare dai suoni sintetici a quelli più heavy, dal folk al jazz, i sette ragazzi di Melbourne utilizzano una vasta gamma di strumenti musicali, compresi chitarre, basso, batteria, tastiere, flauti, armoniche e sitar. L’energia sprigionata nei loro brani trova formalizzazione in concept album dedicati a distopie futuristiche e mondi alternativi, motivi sonori ricorrenti e passaggi evidentemente psichedelici. Accanto a Oh Sees e KG&LW si affianca poi una nutrita schiera di ottimi progetti e musicisti, primo fra tutti lo statunitense Ty Segall. Proprio lui funge da punto d’unione con gente come Mikal Cronin (grande autore di perfette canzoni indie rock), White Fence (altro nome essenziale della neopsichedelia) e con band come Fuzz, Gøggs, C.I.A., Peacers. Sempre San Francisco è inoltre la base operativa dei Moon Duo, costola degli altri psichedelici Wooden Shjips e capaci di unire garage e kraut rock, melodie ipnotiche e caleidoscopi di suoni cristallini. Con all’attivo sette album e una passione per i suoni sporchi dei Suicide e le scorribande noise degli Spacemen 3, Ripley Johnson (chitarra e voce) e Sanae Yamada (tastiere) hanno fatto esplodere anche la componente visual dei loro live grazie a performance in cui vengono letteralmente avvolti da coloratissime proiezioni all’interno di un cubo bianco.

RITMI TRIBALI

La vastità della world music e gli intrecci più ineffabili che si possono ottenere dall’unione di suoni organici e sintetici hanno dato vita a una serie di progetti originali e fulminanti, come quello del duo High Places formato da Mary Pearson e Rob Barber. Letteralmente unici nel proporre ritmi tribali e campionamenti digitali, appetibilità pop e ricercatezza suggestiva, con poche pubblicazioni gli High Places sono stati capaci di incorporare music e field recording, dando vita a un collage sonoro eclettico e atmosferico. Da non dimenticare sono anche le loro collaborazioni con artisti visivi e registi, grazie ai quali hanno realizzato video musicali e installazioni visive, qualcosa di simile alla ricchissima videografia che caratterizza una formazione ad alto tasso di riconoscimento come gli Animal Collective. Originari di Baltimora, questi eccentrici musicisti hanno creato un suono assolutamente inedito e originale, in cui elementi pop, folk, psichedelici ed elettronici si combinano attraverso composizioni incalzanti e perfino intricate. Partiti con una vena quasi spirituale e per certi versi spettrale, i quattro ragazzi si sono espansi sempre più verso un uso consapevole di strumenti tradizionali ed elettronica, arrivando ad essere dei veri portabandiera di una psichedelia che cattura ma non per questo scontata, perfettamente costruita ma anche decisamente estrosa. Più classicamente pop rock – e forse per questo ancora più acclamati dal pubblico internazionale – sono i Tame Impala, progetto australiano fondato a Perth da Kevin Parker e mutato poi nel corso degli anni. Dopo un inizio più classicamente psych pop, epico nel suo coraggioso tentativo di portare il suono anni Sessanta nell’intrico degli anni Duemila, Parker ha scelto di indirizzare il sound verso ritmi groovy, chitarre distorte e uso distintivo degli effetti sonori. Ne è derivata un’attenzione decisamente lusinghiera di critica e pubblico e un successo che non sembra destinato a fermarsi. Anche il nord Europa ha abbracciato perfettamente la nuova onda psichedelica e lo ha fatto ripartendo dall’appartenenza etnica. World Music è infatti il titolo del debutto su lunga distanza dei Goat, band svedese che si è fatta carico sia dell’importante tradizione folkloristica (legata ad antiche leggende e pratiche voodoo) sia dello sdoganamento di un certo misticismo negli stilemi moderni. Ne vien fuori un entusiasmante miscuglio di rock psichedelico, funk, afrobeat e musica tribale, che dal vivo diventa irrefrenabile grazie al dionisiaco intreccio di musica e danza.

LINFA ELETTRONICA

Contaminato dal versante rock e dai cambiamenti avvenuti soprattutto a cavallo fra anni Novanta e Duemila, anche il suono prettamente elettronico ha trovato nuova linfa nella psichedelia. Sono innumerevoli i progetti che si innestano in una continuità formale di ambito psicotropo, ma alcuni si sono affermati per peculiarità sonora e audacia sperimentale. Senza dubbio l’album del 1999 dei Chemical Brothers, Surrender, contiene alcune delle più clamorose hit della psichedelia digitale, fra cui la rutilante Let Forever Be e l’iperbolica The Sunshine Underground. Fra i più consapevoli contaminatori del rock britannico ci sono poi i Primal Scream, che sin dal loro esordio nel 1987 – e passando dal capolavoro Screamadelica all’ossessivo Vanishing Point – hanno sempre impresso una nota psych alla loro musica. Merito anche del lavoro di produzione che Kevin Shields ha fornito per un certo arco di tempo alla band e naturalmente all’attitudine del leader Bobby Gillespie di abbracciare la dance music in un ambiente più tipicamente rock. Fra le più interessanti esperienze elettroniche degli ultimi decenni c’è poi la proposta di The Field, alias dello svedese Axel Willner, che nel 2007 arriva con un piccolo gioiello: Yesterday and Today. Dotato di una predisposizione al ballo calata nella minimal techno e di una eleganza fornita dalla eccellente fluidità alla produzione, questo disco trattiene le reminiscenze del miglior dream pop 4AD, le capacità ipnotiche della psichedelia e la meravigliosa ossessività dell’uso dei loop.

LA FINE DEL VIAGGIO

Dalla fisicità rock al dinamismo dance, passando per il folk, il noise e il folk pop, la psichedelia del nuovo millennio ha espanso il proprio territorio d’azione fino ad occupare in maniera permanente tutto ciò che è sogno e stato ipnagogico. Le meraviglie rarefatte della Kranky Records sono un perfetto esempio di come le nebbie di un suono raffinato e complesso possano svelarsi all’ascoltatore in maniera inedita e illuminante, portando a confrontarsi con artisti come Grouper, Jessica Bailiff, Clear Horizon, Jessamine, Deehunter e tanti altri. Ma a completare qualunque tentativo di commistione fra consapevolezza e ipnosi, espansione e risolutezza, senza dubbio si impone il nome dei Boards of Canada, il duo scozzese capace di incorporare sample e sintetizzatori, memorie vintage e suoni avveniristici, psichedelia e uso volutamente improprio della tecnologia. Una vetta assoluta di decompressioni sognante, che allevia l’atterraggio nella realtà dopo un lunghissimo trip.