Nemici amici, se il potere della parola viene manipolato
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Nemici amici, se il potere della parola viene manipolato

Umberto Orsini e Franco Branciaroli – foto di Amati/Bacciardi

A TEATRO Umberto Orsini e Franco Branciaroli portano in scena «Pour un oui ou pour un non» di Nathalie Sarraute

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 2 aprile 2022

È una domanda pericolosa quella che pone il titolo del testo di Nathalie Sarraute, Pour un oui ou pour un non. Umberto Orsini e Franco Branciaroli lo portano in giro in molte piazze teatrali italiane (ora Bolzano, poi Brescia, Parma, Trieste). Per un sì o per un no suona quel titolo, interrogativo su cui si sviluppa il dissidio «chiacchieroso» tra amici di antichissima data, e anche loro maturi per età, per una sorta di sgarbo che uno avrebbe fatto all’altro. Non si è infatti lasciato molto coinvolgere, e tanto meno appassionare, dalla richiesta di un giudizio sulla migliore strategia da adottare in una questione di reciproca «carriera» da portare alla migliore soluzione.

QUELLA SOLUZIONE non trovata si trascina come gran parte del loro rapporto: domande, cavilli, complicità e battute tra due creature ormai giunte alla vecchiaia, che da sempre hanno condiviso chiacchiere, scelte e comportamenti. A interpretare i due «vecchiacci» sono in effetti due giovanotti, vere eccellenze, per storia professionale e capacità artistica, del teatro italiano, Umberto Orsini e Franco Branciaroli. Perfino per la regia hanno a fianco un altro anziano eccellente, Pier Luigi Pizzi, anche lui in possesso dei suoi quarti di nobiltà (prima che regista, scenografo accurato e coltissimo, da tanta Compagnia dei giovani fino all’Orlando furioso cinematografico di Ronconi). Se poi lo spettacolo rischia di parzialmente deludere tante attese, si capisce poco dopo l’inizio: l’elemento principale, più scontato che antico, della rappresentazione è proprio il testo, firmato da Sarraute, signora illustre di quella che fu definita «la scuola dello sguardo» cresciuta in Francia nel dopoguerra alla metà del ’900. Quella corrente letteraria, nata e sviluppatasi a Parigi, ha avuto rappresentanti illustri, dalla stessa Sarraute fino a Marguerite Duras e Alain Robbe Grillet, che spiazzarono i canoni della narrazione.

QUEL DIBATTITO tenne viva l’attenzione sulla scrittura d’oltralpe per molto tempo, ma sconta il rischio di poter funzionare molto meno in teatro. Già nella originaria etimologia greca, teatro richiama il «vedere», ma aggiungere una ulteriore motivazione di «sguardo» alla «teatralità», può creare eccessi, o anche solo pericolose cadute d’attenzione, per lo spettatore che sul palcoscenico si attende di «vedere» qualche cosa che prenda corpo e accada. Il fascino della parola e della sua costruzione resta enorme ovviamente ancora oggi, ma siamo abituati (e anche vogliosi) di vedere movimento o almeno «drammaticità», anche in leggere storie da salotto (anche se non manca qui il colpo di scena finale).
Detto questo, Orsini resta sempre uno dei più grandi attori italiani, e Branciaroli ha accumulato tecnica, bravura e impeti da vero istrione (anche se in questa occasione salta all’orecchio, in quel confronto volutamente «ozioso», il dubbio se sia stato lui stesso o il regista a scegliere il suo uso del falsetto per buona parte dello spettacolo…). La regia di Pizzi orchestra il suono di quei sentimenti chiacchierosi su una elegante serie di candide, ordinate e affollate, librerie.

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