«Nelly è un fenomeno nella fotografia greca», afferma lo storico della fotografia Alkis Xanthakis, sottolineando sia la qualità artistica che la padronanza tecnica di Elli Sougioultzoglou-Seraidari, più nota come Nelly’s. La retrospettiva Nelly’s Pioneering Perspective al museo Benaki Pireos di Atene (visitabile fino al 23 luglio) è un’occasione preziosa per ripercorrere oltre quarant’anni dell’attività di quest’autrice talentuosa che nacque nel 1899 a Aydin (oggi Turchia) e morì nel 1998 a Nea Smyrni, Atene. Un racconto che procede attraverso vintage, negativi, album, riviste, cartoline postali, memorabilia e apparecchi fotografici (tra cui l’Ica Reflex 9×9, l’Agfa 13×18, l’Universal Juwel 9×12, la Contax, la Rolleiflex), insieme all’ingranditore proveniente dalla camera oscura del suo studio di New York. Oggetti che, nel 1984, la stessa fotografa aveva donato al museo Benaki: un archivio che consta complessivamente di 50mila negativi e 20mila positivi.

NELLY’S È UNA PERFETTA interprete del suo tempo, come appare evidente nei tre «capitoli» della mostra, dove si alternano generi – pittorialismo, realismo, reportage, moda, ritratto, fotografia pubblicitaria – che riflettono i cambiamenti storici e culturali. A cominciare dal periodo giovanile a Dresda, dove studia con il ritrattista Hugo Erfurth per diplomarsi in fotografia, nel 1923, con Franz Fiedler. Tornata in Grecia, ritrae personaggi dell’alta borghesia e della casa reale, oltre che celebrità come la bella Chryseis Rodi eletta miss Grecia 1931. Viaggia anche nel Peloponneso, nella Grecia centrale, a Creta e nelle isole Cicladi per i suoi reportage di grande attualità. Infine, dal 1939 al ’66, insieme al marito Angelos Seraidaris si trasferisce a New York: il suo studio era al 19 East 57th Street.

Membri del coro oceanides in posa nell’antico teatro di Delfi,1927, courtesy Benaki museum photographic archives

 

IN QUESTO VIAGGIO nel tempo, anche l’allestimento della mostra accompagna il visitatore con la musica di sottofondo e il motivo della carta da parati, citazione di quella liberty che adornava le pareti dello studio in Ermou Street ad Atene.
La ricerca estetica di Nelly’s non è mai svincolata dall’interesse per la tecnica, come quando utilizza il procedimento di stampa al bromolio, con gli inchiostri grassi sulla copia positiva stampata sul cartoncino al bromuro d’argento che realizzava anche a colori o stampando su carta giapponese. Del corpus fotografico fanno parte anche due lavori molto diversi tra loro, la celebre serie dedicata alla danza e ai nudi sull’Acropoli, e il reportage Dolori del rifugiato. Entrambi del 1925. Quando, nell’ottobre di quell’anno, la ballerina Mona Paiva dell’Opera Comique di Parigi fece alcuni spettacoli ad Atene, la fotografa ebbe l’intuito di ritrarla nuda mentre danzava, sia nel suo studio che tra gli antichi marmi del Partenone, avendo avuto l’autorizzazione dell’archeologo Alexandros Filadelfeas.

Installazione della mostra al Benaki (foto di Manuela De Leonardis)

GIÀ NEGLI ANNI DI DRESDA aveva immortalato la naturalezza e l’armonia del movimento delle ballerine della scuola di Mary Wigman, fotografandole nello studio di Fiedler e nel parco roccioso di Saxon Switzerland, così come le danzatrici Hanya Holm e Guri Thorsteinsson durante le prove, realizzando nudi sia femminili che maschili.
Quando, però, i nudi di Mona Paiva furono pubblicati provocarono non poche polemiche da parte dei benpensanti. L’autrice fu accusata di aver provocatoriamente «profanato» l’Acropoli, ma a sua difesa intervenne il poeta Pavlos Nirvanas con una lettera sul giornale Elefthero Vima in cui definiva il nudo moderno come l’incarnazione più elevata dell’ideale classico. In seguito, Nelly’s tornò a fotografare sull’Acropoli ballerine e atleti, tra cui Lila Nikolska e Dimistris Karabatis.

NON MENO INTENSO è il reportage sui profughi greci dell’Asia Minore in un campo umanitario americano in Attica. Con la disfatta dell’esercito durante la guerra greco-turca (1919-22) e la distruzione della città di Smirne, milioni di greci, che da tempo immemorabile vivevano in Asia Minore, furono costretti a lasciare le loro case. La fotografa aveva vissuto sulla propria pelle quell’esperienza di sradicamento, quando nel 1919 Aydin, la sua città natale, era stata scenario dell’omonima battaglia e la sua famiglia aveva preso la via della fuga
L’obiettivo della sua macchina fotografica inquadra soprattutto anziani e bambini, ritrovando nei loro sguardi traccia di un dolore profondo che è autentico. Forse è solo un’impressione, ma anche quando a New York fotografa la comunità greca della diaspora dietro i sorrisi patinati, colti durante le feste o le celebrazioni religiose, è sempre in agguato quella sottile vena di malinconia.