Negli ultimi anni in Italia si sono moltiplicate le pubblicazioni nel campo dei visual studies, attraverso la traduzione di grandi teorici internazionali, ma anche grazie ai contributi di una scuola italiana che vede tra i suoi capofila Andrea Pinotti, ordinario di estetica alla Statale di Milano. Qualche anno fa, insieme ad Antonio Somaini, aveva pubblicato «Cultura visuale», volume che faceva il punto sugli studi accentuando soprattutto la questione del medium. Del resto, sempre insieme a Somaini, Pinotti ha curato una importante edizione degli scritti di Benjamin teorico dei media, raccolti sotto il titolo di «Aura e choc». Infine i due studiosi nel 2009 avevano editato per Cortina editore l’antologia «Teorie dell’immagine», con testi di Boehm, Belting, Mitchell, Latour, Didi-Huberman e altri.

Con «Il primo libro di teoria delle immagini», Pinotti decide di soffermarsi solo sull’universo delle immagini fisse, senza dunque toccare la questione dell’audiovisivo. Ma, se da un lato il volume illustra e applica le teorie relative all’iconosfera, anche perché lo scopo di questa collana è quella di porsi come una bussola per orientarsi nel mare magnum di discorsi sulle immagini, dall’altro – e lo esplicita bene l’autore – questo «non vuole essere un libro introduttivo alla filosofia della pittura e delle arti visive». La struttura scelta è quella di partire – in ciascuno dei quattordici capitoli – da un caso esemplare applicando un diverso approccio metodologico. Alcuni esempi per chi già mastica il tema rischiano di essere una ripetizione, mentre altri appaiono stimolanti e suscitano la necessità di ulteriori approfondimenti; è il caso dell’ultimo capitolo, Il pungolo dell’astrazione, dove si affrontano questioni – il rapporto tra figurativo e astratto, ma anche tra arte e mimesi – che puntualmente si ripropongono nel dibattito contemporaneo.

«Questo lavoro» – spiega l’autore nell’introduzione – «non aspira a fornire un’esaustiva ricostruzione storica dei vari paradigmi metodologici presi in considerazione, né una mappatura dei principali formalisti, iconologi, gestaltisti, semiologi, fenomenologici e così via, che abbiano detto qualcosa di rilevante sul tema ‘immagine’. Piuttosto, punta a identificare l’emergere di un problema (formale, iconologico, semiotico, fenomenologico, ontologico…) e di una possibile risposta a tale problema. Il che non significa rinunciare alla prospettiva storica: anzi, si privilegeranno proprio i testi seminali e i momenti aurorali nei quali questo o quel problema si è annunciato, per lasciare poi ai lettori che lo vorranno la possibilità di inseguire sviluppi, suggerendo a chiusura di ogni capitolo alcune letture di approfondimento». È sicuramente merito della scrittura chiara e, a tratti, perfino discorsiva come quella di Pinotti, se il lettore è agevolato nella comprensione di temi complessi. Dopo la questione dell’immagine in quanto segno o problema percettivo, o del «che cosa» (il soggetto del quadro, con un rimando all’iconologia) o del «come”»(ovvero lo stile), si affrontano altre problematiche, quali la «vita postuma delle immagini», capitolo in cui non si può non far cenno a Warburg (la grande «riscoperta» degli ultimi vent’anni, soprattutto in Francia e in Italia negli studi di settore) e alla trasmigrazione dei simboli dall’antico al moderno. O, ancora, il binomio arte/coscienza, arte/inconscio (ricorrendo alla classica lettura freudiana di Leonardo).

Se nel capitolo «Immagine e cervello» si indaga la frontiera delle neuroscienze, ambito che predomina da tempo il panorama di studi tra arte e scienza, uno dei capitoli più interessanti del libro resta quello sul rapporto tra «figurativo» e «figurale»: sulla scorta di Lyotard, Pinotti esplora il legame tra scrittura/testo/immagine, sottolineando quanto il figurativo e l’astratto siano casi particolari del figurale. Alla cosiddetta depiction, invece, Pinotti dedica il capitolo undicesimo della sua ricerca, chiamando in causa Wollheim e affrontando la nozione del vedere-in, relativa alla questione dell’immagine/medium/supporto, mentre il capitolo successivo è incentrato sulla questione del dispositivo di registrazione e fruizione. Con «Simulacri», infine, giunge puntuale la riflessione su quanto le nuove tecnologie (VR, AR e AI) abbiano modificato lo statuto delle immagini e il nostro rapporto con esse. Ma a questo tema – e a quello dell’immersività – Pinotti ha dedicato tre anni fa un altro libro che ci sentiamo di consigliare: «Alla soglia dell’immagine. Da Narciso alla realtà virtuale», edito sempre da Einaudi.