Durante il periodo di adesione al surrealismo, durato dal 1924 al 1926, Antonin Artaud curò il terzo numero della «Révolution Surréaliste», emblematicamente intitolato 1925: fin de l’êre chrétienne, in cui accolse una serie di interventi mirati contro le istituzioni. Diresse al contempo il «Bureau de recherches surréalistes», situato al n. 15 di rue de Grenelle a Parigi e inizialmente aperto al pubblico, con lo scopo di promuovere attività inerenti alle facoltà dell’inconscio, comprese le scoperte più astruse e bizzarre. André Breton, indiscusso leader del movimento, era rimasto conquistato dalla figura di Artaud, definito latore «di un paesaggio da romanzo nero, tutto trafitto di lampi», dopo aver letto il carteggio con Jacques Rivière, anticipato nel numero della «Nouvelle Revue Française» del 1° settembre 1924, riportante il titolo generico Une correspondance.

IN REALTÀ ARTAUD fu un surrealista sui generis, indisciplinato all’ennesima potenza: visse la sua partecipazione al movimento in maniera estemporanea, anarchica, esulando dai precetti imposti dal «papa» del surrealismo, soprattutto di matrice ideologica. Tuttavia tale stagione si può considerare una delle più felici sul versante creativo, con la realizzazione di testi fondamentali come L’Ombilic des limbes e Le Pèse-Nerfs, entrambi pubblicati nel 1925 (L’Art et la Mort uscirà nel 1927 da Denoël et Steele). Le Pèse-Nerfs vide la luce nella collana «Pour vos beaux yeux», diretta da Louis Aragon e finanziata dal mecenate Jacques Doucet, in soli 65 esemplari, con in copertina un disegno di André Masson riproducente frontoni e colonne di taglio neoclassico che dimostrano l’interesse del pittore per la mitologia greca (si confrontino le illustrazioni analoghe allestite per un eccessivo Bataille).

La collana prevedeva dodici volumi, tra cui testi di Breton, Péret, Éluard, Baron, Soupault, Desnos e dello stesso Aragon, ma l’unico titolo impresso fu proprio quello di Artaud. Il libro, ristampato nel 1927 in forma lievemente rimaneggiata con l’aggiunta dei Fragments d’un Journal d’Enfer nei Cahiers du Sud, nati da una costola dell’eponima rivista marsigliese, testimonia il grado di incandescenza raggiunto in quel periodo dall’autore eretico par excellence.

Il Pesa-Nervi. Frammenti di un diario infernale (pp. 208, euro 14,00) è ora proposto da La vita felice nella pregevole versione di Carmelo Claudio Pistillo che firma anche un dettagliato saggio introduttivo in cui ripercorre vicissitudini e opere di Artaud. La raccolta, già tradotta nel lontano 1966 in Al paese dei Tarahumara e altri scritti, a cura di H.J. Maxwell e Claudio Rugafiori, prima antologia artaudiana apparsa nel nostro paese, è ora disponibile in questa nuova versione volta ad attualizzare un linguaggio eterogeneo mediante una serie di accorgimenti espressivi derivanti dal parlato. Un esempio calzante riguarda il brano contrassegnato dall’incipit «Toute l’écriture est de la cochonnerie», reso da Pistillo «Tutta la scrittura è uno schifo», mentre la trasposizione adelphiana opta per il più letterale «Tutta la scrittura è porcheria». Entrambe le soluzioni risultano corrette e la nuova versione ha il merito di presentare il testo originale a fronte.

Il Pesa-Nervi è un libro composito, che risente della temperie surrealista, anche se la tecnica dell’écriture automatique, in cui eccelsero figure anticonvenzionali come Desnos e Crevel, viene sviluppata in maniera originale rispetto ai modelli canonici, essendo la scrittura giovanile di Artaud permeata di un retaggio cartesiano, puntualmente disatteso dagli scarti visionari che ne caratterizzano (e ne travisano) la struttura. Si corre sul filo di un equilibrio che trova proprio nella metafora del Pesa-Nervi quella «specie di stazione indecifrabile» su cui poggiare il peso di una parola fortemente compromessa con aspetti alchemici ed esoterici, secondo la lettura datane da Umberto Artioli.

Come per la Correspondance avec Jacques Rivière (1927) l’intento è quello di manifestare la profonda discrasia esistente tra concezione di un’opera e sua reale attuazione: «Io sono colui che più ha riconosciuto lo stupefacente smarrimento della propria lingua nei suoi legami con il pensiero». Se Artaud è consapevole che «in ogni parte della mia macchina pensante ci sono buchi, interruzioni», deve necessariamente mostrare queste faglie, questi sommovimenti tellurici attraverso una serie di squarci visionari, privi di qualsivoglia legame con la consequenzialità del discorso.

SOLO COSÌ SI CREANO procedimenti analogici che sembrano anticipare a tratti le sperimentazioni di Zanzotto, come quando gli «arborescenti mazzi d’occhi mentali si cristallizzeranno in glossari» (si veda al riguardo l’intervento di Valerio Magrelli sull’ultimo numero di «Semicerchio» che chiama in causa, per il poeta di Vocativo, anche l’influsso mallarmeano).

Le tre Lettere di Ménage, ispirate al rapporto conflittuale con l’attrice di origine rumena Génica Athanasiou, non fanno che documentare questa sorta di inadattabilità congenita alla vita quotidiana che, in seguito, si svelerà mediante la mortificazione dell’«assenza d’opera» di cui parla Foucault: non si può non pensare al ricovero quasi decennale in varie strutture psichiatriche e al relativo silenzio poetico, seguito da un’incontenibile coprolalia verbale, non immune dagli sfregi delle glossolalie e ormai presaga di un corpo svuotato di organi.

I conclusivi Frammenti di un diario infernale, dedicati al poeta André Gaillard, formano una congerie di riflessioni di stampo aforistico (il dolore è «conficcato in me come un cuneo»), nonostante si accentui quella componente orientata a privilegiare gli aspetti meno rappresentabili dell’esistenza: «Porto le stimmate di una morte incalzante». Il tema della nevrosi, considerata un «nodo d’asfissia centrale», si alterna a quello della dissociazione esistente tra pensiero e linguaggio. In maniera rigorosa e lucida lo stesso Artaud ci aveva avvertito: «Il vero dolore è sentire dentro di sé lo spostamento del pensiero».