«Nelle strutture si individua tardi la sofferenza dei profughi»
Migranti Intervista a Massimiliano Aragona
Migranti Intervista a Massimiliano Aragona
Massimiliano Aragona è uno psichiatra dell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà e membro della Società italiana di medicina delle migrazioni.
Il rapporto di Msf “Traumi ignorati” svela i gap della cura della salute mentale dei migranti nel sistema di accoglienza italiano. Quali sono le maggiori criticità?
Il rapporto permette di quantificare il problema e illustra le criticità esistenti nel far emergere e prendere in carico in modo tempestivo la sofferenza psicologica dei migranti. Occorre migliorare la formazione degli operatori sul disagio psichico dei migranti, perché a volte diamo per scontato che i sintomi siano gli stessi presentati dalla popolazione occidentale. Inoltre, se è difficile evitare che le persone subiscano traumi nei paesi d’origine (ad esempio detenzioni inumane e tortura), almeno potremmo evitare di peggiorare la situazione «esportando» la democrazia in modo violento e sicuramente possiamo evitare che muoiano affogati in mare: basterebbe organizzare dei corridoi umanitari. In Italia ci dobbiamo concentrare sulla prevenzione evitando che i migranti, esposti alle molteplici difficoltà conseguenti la vita post-migratoria, finiscano abbandonati per strada – alcuni pazienti con disturbi psicopatologici dormono tra i binari di Termini – o subiscano un nuovo trauma che si aggiunge a quelli già esistenti facendoli riemergere. Un fenomeno che purtroppo a volte può avvenire anche nei centri, soprattutto se producono un senso di spersonalizzazione perché troppo grandi o con locali promiscui. Questo avviene in modo particolare nei Cie, che vanno superati perché sono luoghi traumatizzanti e patogeni.
Quali sono le difficoltà a che aumentano il rischio di patologie mentali tra i migranti?
Sono molte, tra cui la noia per l’inattività forzata in attesa dei documenti, le preoccupazioni per la famiglia rimasta in patria ma che si vorrebbe mettere in salvo scontrandosi con l’impossibilità del ricongiungimento finché non si ottiene la protezione, la paura del respingimento. Un fattore aggravante sono anche i lunghi tempi di attesa per i documenti. Ci sono studi che svelano il diverso impatto di politiche restrittive o di supporto alla salute dei migranti. Nel primo caso si creano persone disadattate, mentre di fronte a buone pratiche di accoglienza le persone riescono a integrarsi, lavorano e pagano le tasse.
Ma non siamo anche noi occidentali la causa del problema?
Molti disagi sono indirettamente creati da noi occidentali con le nostre politiche migratorie restrittive. Indicare il migrante come un «nemico» non può che produrre regresso culturale e un impoverimento delle nostre democrazie.
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