Nelle strofe de La Niña l’energia di Napoli e la caducità della vita
Note sparse «Vanitas», l’ultimo disco della cantante e ballerina, tra frontiere digitali, rap e canzone tradizionale
Note sparse «Vanitas», l’ultimo disco della cantante e ballerina, tra frontiere digitali, rap e canzone tradizionale
In un paio d’anni la ballerina e cantante vesuviana Carola Moccia, più nota come la Niña, si è imposta come una delle voci più interessanti in circolazione tra concerti e esibizioni televisive. E adesso si sta trasformando in showgirl totale, partecipando come attrice alla fiction di Canale 5 – La voce che hai dentro – con Massimo Ranieri, prossimamente sul piccolo schermo.
DA POCO è arrivato anche Vanitas, il primo album su etichetta Sony, finora aveva pubblicato solo singoli ed ep (compreso Tu, il duetto con Franco Ricciardi, che ha spopolato su Youtube) dove la Niña è in copertina, con armatura e collana, in un quadro da barocco napoletano con teschi, serpenti, vasi e strumenti. Una natura morta che rimanda al senso di caducità, alla durata effimera della vita, alla transitorietà dell’umano, il filo conduttore del disco condito con elettronica puntuale, percussioni creative, voce sempre più intrigante, persino versi di brani tradizionali usati come frammenti, citazioni, acronimi, campionamenti (da Indifferentemente a ‘O surdato ‘nnamurato). Otto brani piuttosto brevi, con la produzione di Alfredo Maddaluno alias Kwsk Ninja, il suo storico sodale e artigiano sonoro, esplorando le nuove frontiere digitali con tutto il patrimonio della canzone classica in mente. Usare il disincanto per melodie ipercompresse, pitchate, distorte, portando gli antenati nella cruda realtà della vita di adesso.
Partendo dalle invocazioni alla luna, eterno simbolo di femminilità, con le sue quattro fasi ripetute, Selenè, segnata dall’urgenza ritmica e dalla parità uomo-donna che non c’è o Vipera, brano antimalocchio contro le malelingue coi rumori e la parlata di strada, sciò sciò, oppure Blu, collaborazione con Mysie su atmosfere cameristiche e poi il rappatissimo FCCV, iniziali di Famm chell che vuò, il più carnale dei desideri, con inevitabili rimandi onirici a sogni e apparizioni oscure come nel liquido pianismo di Notte. Eclettismo ragionato e intuizioni folgoranti fino al piacevole singolo Harakiri, fascino orientale e ambientazione claustrofobica, con tammorre e shamisen (liuto nipponico a tre corde), accompagnato da uno splendido videoclip stile manga, disegnato da Carmine Pistone.
«MORE pe’ttè, pur si nun t’o dico/ Piglio ‘o telefono e po’ nun te scrivo/ M’ama o non m’ama, chiedo a Siri/ Voglio una lama, harakiri/ M’ama o non m’ama, chiedo a Siri/ Sayonara, harakiri». Queste canzoncine, deliziose e compiute (nessuna più lunga di tre minuti) si contaminano insieme con tutta la colonna sonora di Mare fuori, la serie tv ambientata nel reclusorio di Nisida, con le composizioni di Stefano Lentini e le sonorità preziose involate con le espressioni dialettali dei Nu Genea con Bar Mediterraneo nel calderone sonoro della grande festa azzurra, altra nuova onda napoletana, fortemente innovativa, dal sapore cosmopolita e dallo sguardo rapace.
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