Visioni

Nelle storie senza parole, l’apocalisse derisoria del mondo

Nelle storie senza parole, l’apocalisse derisoria del mondoUna scena da «Het land Nod» – Courtesy La Biennale di Venezia © Andrea Avezzù

A teatro Alla Biennale il collettivo fiammingo FC Bergman - Leone d’Argento - con lo spettacolo «Het land Nod». Armando Punzo - Leone d’Oro alla carriera - ha presentato «Naturae»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 24 giugno 2023

Al terzo tratto della direzione artistica di Gianni Forte e Stefano Ricci, la Biennale teatro si è colorata di verde. Verde smeraldo, dice il titolo che campeggia sull’Emerald book, il ponderoso catalogo del festival. Ma anche di verde ci sono tante tonalità, o tanti modi di intenderlo. Il verde dell’uno non coincide con il verde dell’altro, come si intende dai due Leoni di questa edizione, quello d’oro è andato alla lunga avventura di Armando Punzo all’interno del carcere di Volterra; quello d’argento all’assai più giovane collettivo fiammingo FC Bergman, formatosi quindici anni fa ad Anversa. Il loro bellissimo Het land Nod, la terra di Nod, risale al 2015. Lo si aspettava al festival Vie tre anni fa, proprio nei giorni in cui scoppiava la pandemia.
Di Naturae, lo spettacolo presentato da Punzo, sorprende la distesa di sale bianchissimo che copre lo spazio delle Tese, all’Arsenale. Il sale proviene dall’antica salina di Volterra dove aveva debuttato l’estate scorsa (se ne è parlato allora su queste pagine). L’artefice gioca con una leggera sfera rossa per poi introdurre una vasta tribù di figure colorate a cui dona gesti misteriosi. Da demiurgo di un mondo fantastico. E bisogna soltanto abbandonarsi al piacere del gioco, alla magia felice delle azioni che si creano e disfano come nei sogni. Sogno che la Compagnia della fortezza spera di vedere realizzato è diventare il primo teatro stabile basato all’interno di un carcere.

Nel vuoto amplificato dalle dimensioni colossali dello spazio, entrano ed escono con i tempi delle comiche slapstick una serie di personaggi che sembrano indifferenti

ALTRETTANTO sorprendente è lo spazio che accoglie la creazione di FC Bergman, Het land Nod, dentro il vasto capannone di una fabbrica dismessa nella zona industriale di Marghera. In quell’involucro da archeologia industriale, gli artisti hanno ricostruito meticolosamente la galleria dedicata a Pieter Paul Rubens all’interno del Museo reale di belle arti di Anversa. Le grandi porte che si aprono sulle pareti, incorniciate da una spessa boiserie. Il fregio dorato che corre alla sommità della sala. Persino il parquet per terra riproduce quello originale. Le pareti della galleria però sono ormai vuote. All’ingresso degli spettatori alcuni inservienti stanno finendo di impacchettare una tela. Resta ancora appeso a una parete solo il dipinto che rappresenta Cristo sulla croce fra i ladroni. E come fare uscire dalla sala la grande tela, tre metri per quattro, rappresenta un po’ il motivo conduttore dello spettacolo. Lì per lì non capisci cosa succede, perché si svuoti il museo.

Collettivo FC Bergman foto di Paule Josephe

NEL VUOTO amplificato dalle dimensioni colossali dello spazio entrano ed escono con i tempi delle comiche slapstick una serie di personaggi, chiamiamoli così, che sembrano indifferenti o inconsapevoli di ciò che sta accadendo. L’impiegato del museo si arrampica su una scala a pioli per prendere le misure del dipinto e resta appeso là in cima, come Harold Lloyd all’orologio di Safety last! Due giovani orientali si fanno dei selfie senza notarlo. Un visitatore si spoglia degli abiti e si ferma nudo com’è a contemplare il dipinto. Un altro molto elegante torna più volte solo per togliersi qualcosa dalle tasche, delle foglie morte o una polvere bianca. Una ragazza fa pipì lì nel mezzo e cade svenuta oppure si muove attorno alle pareti lasciandosi cadere a ripetizione fra le braccia di un uomo. E tutte le volte il custode accorre a pulire le foglie e la pipì.
Storie che non hanno bisogno di parole. Il mondo è un insieme di eventi suggerisce la fisica, e loro sembrano d’accordo. Molto immaginario cinematografico, da Chaplin a Godard. Ma anche gli omaggi teatrali, da Jan Fabre a Marthaler e Bausch, non sono nascosti. Però il colore dello spettacolo va lentamente mutando. Si ascoltano colpi di lontane esplosioni. L’impiegato continua con le sue gag. Per allargare la porta cerca di demolire l’architrave a martellate, poi ci prova con il tritolo ma il detonatore non funziona. Succede invece che un’esplosione improvvisa fa crollare non solo l’architrave ma l’intero soffitto della sala. Sul suolo coperto di calcinacci cala un tappeto di coperte multicolori. Dove qualcuno ha costruito un rifugio di fortuna e cerca forse di darsi un futuro, mentre la ragazza nuota sul dorso prima di essere risucchiata in un angolo con tutte le coperte.

INTANTO ti viene in mente che la terra di Nod è nel Genesi quella dove errava Caino dopo avere ucciso il fratello. Bisogna diffidare delle metafore o del desiderio di vedere metafore dappertutto. Ma questa apocalisse derisoria evoca inevitabilmente un tempo di guerra che non da ieri incombe sul continente, per chi ha memoria dei bombardieri che partivano per andare a sganciare bombe sulle città.
Quando finalmente l’impiegato è riuscito a mettere in salvo l’ultimo dipinto di Rubens, perché di questo si tratta, comincia a cadere la pioggia. Anche la luce è andata via. E non sappiamo se alla fine uscirà un arcobaleno. Nel buio l’uomo si siede a un tavolino apparecchiato con una bottiglia e una candela.

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