Nelle scuole popolari per un vero riscatto sociale
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Nelle scuole popolari per un vero riscatto sociale

Saggi Esperienze come quelle di Lorenzo Milani, Danilo Dolci e don Sardelli hanno aperto orizzonti infiniti sulla potenzialità rivoluzionaria dell’educazione popolare, ma non hanno più trovato la strada per tradursi in sistema organico nel nostro Paese
Pubblicato 3 mesi faEdizione del 12 luglio 2024

Difficile impresa relazionare sapere accademico e scuole popolari, perché la ricerca universitaria, salvo rare ma significative esperienze, si è spesso mostrata distante dall’impegno in campo sociale.

Elena Zizoli, Lisa Stillo e Giulia Franchi percorrono questa distanza, la perlustrano, la esplorano: ne nasce un viaggio tra le scuole popolari romane che le curatrici del volume (L’altra scuola. Tra apprendimento e riscatto sociale) ci invitano a compiere, muovendosi come in una mappa lungo le strade di un campo – quello dell’educazione popolare – che ha radici storiche di lotta e partecipazione politica, ma al tempo stesso pone non pochi interrogativi su un tempo in cui il neoliberismo la fa da padrone, piegando l’educazione a logiche di mercato: bene da comprare, vendere e consumare.

Dina Bertoni Jovine alla fine degli anni Cinquanta illustrava come l’educazione popolare risultasse frammentaria o limitata a iniziative generose, visto che il tentativo di inclusione delle masse popolari analfabete o semianalfabete in ambito educativo in Italia era andato fallito e le aspirazioni della classe operaia e contadina all’istruzione elevata per tutti e all’eguaglianza sociale non si era realizzata. Il nesso tra educazione popolare e questione di classe è evidente nella sua analisi.

LA STORIA ha dato ragione a questa tesi, considerando che straordinarie esperienze come quelle di Lorenzo Milani, Danilo Dolci, don Sardelli (per fare solo alcuni esempi) pur avendo aperto orizzonti infiniti sulla potenzialità rivoluzionaria dell’educazione popolare, non abbiano poi trovato la strada per tradursi in sistema organico nel nostro paese.

Se al tempo la carica politica delle scuole popolari era indebolita da una mancanza di compattezza storica, oggi il rischio di depoliticizzazione e individualismo è inevitabile. Questo libro prova a rispondere ad entrambe le inquietudini cercando una sistematicità e ritraendo – mediante dialoghi, interviste, testimonianze – il senso politico di spazi sociali che si costituiscono come alternative a logiche elitarie ed esclusione nella città di Roma. Amplia quindi il campo ad altre realtà italiane e a movimenti latinoamericani come le fabricas recuperadas in Argentina, e risuona come un invito ad andare oltre i confini.

TUTTAVIA, non sfugge il fatto che il cosiddetto terzo settore sia sempre più influenzato da un sistema di privato sociale che risponde a logiche di iniziativa imprenditoriale e competitiva. Se da una parte questo modello rende ancora più complessa la costruzione organica dell’educazione popolare, dall’altra risulta ancor più generoso il tentativo di alcune associazioni romane di costituirsi come una rete delle scuole popolari.

Potrebbe essere questa davvero la strada per la rinascita di un’educazione popolare che vada oltre l’assistenzialismo o le speculazioni del mercato? Perché no. Tuttavia, bisogna tentare di non illudersi, altrimenti – richiamando un’espressione utilizzata da Peter Mayo in uno dei capitoli del libro – potrebbe essere come versare«acqua nel vino».

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