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Nelle risaie del Kiangsi tra i contadini cinesi

il primo numero del manifesto, 28 aprile 1971

28 aprile 1971 A tu per tu con i contadini cinesi nella Comune della prima base rossa di Mao Tse Tung. Il reportage di K.S. Karol dalla Cina pubblicato sul primo numero de «il manifesto» il 28 Aprile 1971

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 11 aprile 2014
K.S. KarolSHANGAI

La stampa di provincia cinese è letteralmente invasa dal primo anniversario del «vertice» indocinese d’un anno fa e dalle manifestazioni contro la guerra a Washington. Le stazioni-radio locali cominciano a commentare questi avvenimenti alle sei del mattino, in modo che i membri delle comuni e i lavoratori delle fabbriche possano discuterne prima di iniziare il lavoro.
Ho visto come avviene questa diffusione a tappeto delle grandi notizie assai lontano dai centri urbani, nella regione di Chin Kang Shan, nella provincia del Kiangsi. Qui, in questi villaggi un tempo inaccessibili, è vissuta dal 1927 al 1929 la prima base comunista in Cina.
Oggi qualche strada permette di aggiungere i borghi nei quali Mao Tse-tung raccolse le sue prime truppe, vivendo in una povertà difficile da immaginare. Ma la regione non è solo meta di pellegrinaggi politici; come dovunque nelle campagne della Cina sudorientale, è impegnata nella produzione agricola e nello sforzo di auto-industrializzazione. Ci sono giovani dappertutto; e dovunque mi sono imbattuto in quadri venuti dalle città, anche da Shanghai, per vivere fra i contadini e rieducarsi ideologicamente. (…)

Tornati a confondersi con le masse, e alcuni – a quanto sembra – per restarvi a lungo, costoro, e soprattutto i giovani, hanno portato con sé insieme cultura e passione politica. Abbiamo discusso del recente incontro di ping-pong e del suo significato come se fossimo a Pechino e non sprofondati nella campagna più sperduta. Secondo loro, gli sviluppi dell’ultimo anno in Indocina dimostrano la giustezza della strategia dell’accerchiamento delle città da parte delle campagne, formulata da Lin Piao nel 1965. Le sconfitte americane nel Vietnam non soltanto hanno agguerrito i popoli indocinesi, ma hanno creato una situazione nuova negli Stati Uniti, dove l’opposizione popolare è ora più forte che non sia mai stata. Il fatto che (…) a Washington Nixon sia stato costretto ad allontanarsi dalla Casa Bianca per sfuggire ai manifestanti, è visto come un simbolo.

Tuttavia da questa analisi ottimista non ne derivano che in Cina si attenda un ritiro indolore delle truppe americane dal sud-est asiatico. Anzi, le dichiarazioni di Nixon sull’evacuazione delle truppe di terra dal Vietnam sono definite un complotto per imbrogliare gli americani e l’opinione mondiale.
Le cosiddette «aperture» verso la Cina o le proposte di pace sono considerate alla stessa stregua. In realtà, l’imperialismo americano prepara nuove forme di escalation e la Cina non si sente meno minacciata oggi di ieri. Continuano dunque senza sosta i preparativi di difesa e dovunque, anche in campagna, non si è smesso di scavare rifugi antiaerei e di organizzare la vita in previsione di una guerra. L’arrivo di molta gente dalle città permette d’altronde alle comuni di liberare la manodopera necessaria a grandi opere di ogni tipo, anche nel pieno della stagione agricola.

Ho raccontato ai miei interlocutori, i quali non vedono i giornali e non sentono la radio degli altri paesi, che in Europa si discute molto del nuovo orientamento del governo cinese, e che si da grande rilievo all’invito ai campioni di ping-pong e al fatto che i giornalisti americani siano stati ammessi in Cina. Avevano una risposta pronta. La politica della Cina – a loro avviso – si sviluppa su tre piani: rapporti fra gli stati, rapporti fra i popoli, rapporti fra i partiti marxisti-leninisti. Per ciascuno di questi settori esiste a Pechino una organizzazione apposita. (…) Per quanto riguarda i rapporti fra gli stati, la Cina si attiene alla regola della non ingerenza negli affari interni. Per quanto riguarda la necessità di allargare l’amicizia fra i popoli, la Cina non dimentica che la definizione di Mao esclude dal «popolo» i nemici di classe. Infine, per quanto riguarda i partiti, il partito comunista cinese rifiuta la funzione di «partito-padre», che col pretesto di aiutare e consigliare i piccoli ne assume in fatto la direzione e li utilizza ai propri fini. Vista sotto questo profilo, la recente apertura ai giocatori americani di ping-pong non significa altro che un rafforzamento dell’amicizia col popolo americano e un indebolimento, quindi, del campo imperialista. (…)

Nessuno di coloro che ho incontrato nelle risaie del Kiangsi aveva titolo per parlare a nome del governo o del partito, ma avevano tutti idee molto precise sui punti in discussione. Ognuno di loro sa con certezza – mi hanno detto – che il gruppo dirigente cinese non si discosterà dalle direttive di Mao Tse-tung; e questo, se non esclude il ricorso alla tattica, non permette però alcuna deviazione da una strategia rivoluzionaria e internazionalista. Per meglio convincermi, mi invitavano a guardarmi attorno, in questi villaggi di Maoting o Tsepin, dove, cominciando dal niente, un piccolo nucleo rosso armato ha cominciato un processo che, ventidue anni dopo, avrebbe portatoc a fare una repubblica popolare del più popoloso paese del mondo. «Seguendo l’orientamento di Mao abbiamo vinto finora. Come potete dubitare che i nostri dirigenti, e noi tutti, non lo seguiremo sempre anche per l’avvenire?». Così terminavano le nostre discussioni, mentre si sentiva cantare l’internazionale, che nei villaggi della provincia del Kiangsi, e in tutta la Cina, segna la fine della lunga giornata di lavoro.

(copyright il manifesto e Le Nouvel Observateur)

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