Nelle moschee, senza distruzioni
L’Architettura islamica, o meglio l’architettura dei paesi islamici, ha per estensione temporale e geografia una dimensione incomparabile. Si sviluppa dalla penisola iberica all’Africa del nord e orientale, dalla Turchia alla penisola balcanica, dal Medio Oriente all’Iraq, Iran, Afghanistan, e dall’Asia centrale fino al subcontinente indiano, Indonesia e parte della Cina, in un arco di secoli che va dalla fine del VII al XVIII e oltre. Comprensibile, quindi, la difficoltà, anche per «lo studioso più diligente – come scrisse Oleg Grabar, il grande storico dell’arte islamica –, di tenere testa alla letteratura sull’argomento o di esaminare migliaia e migliaia di testimonianze, se non in maniera superficiale».
Se poi alla cronologia classica si aggiunge la produzione architettonica del secolo scorso fino a oggi, includendo aree geografiche quali le regioni asiatiche sull’oceano Pacifico, l’Europa e le Americhe, come ha fatto Eric Broug con L’architettura islamica Una storia mondiale (Einaudi, pp. 336, euro 80,00), il compito di comprendere una così vasta mole di monumenti e edifici diventa un’impresa titanica.
Infatti, così è stato per l’artista e designer olandese nel comporre un’antologia che, pur senza avere pretese accademiche, possedesse un adeguato contenuto divulgativo. Realizzata a partire dalla selezione di almeno mezzo milione di fotografie scelte tra quelle «visivamente più eloquenti», è suddivisa in sei capitoli, secondo il criterio della localizzazione geografica, seguiti da una serie di apparati tra i quali l’elenco di diverse figure femminili (madri o figlie di sultani) alle quali si deve la costruzione di edifici religiosi tra moschee, madrase e mausolei.
Il racconto per immagini di Broug ha inizio dai paesi del Mediterraneo orientale e del Golfo Persico, lì dove ebbe origine l’architettura islamica, una volta consolidate le conquiste avvenute nel periodo dei Califfi Ortodossi – Abu Bakr, Omar, Othman, Ali –, succeduti alla morte di Maometto (632 d.C.), per i quali valeva quanto si racconta pensasse il Profeta stesso: «La cosa più vana, che divora la ricchezza di un credente, è costruire». Così, un semplice luogo recinto da un muro era sufficiente per la preghiera: la preislamica musalla. D’altronde per il Corano ogni posto dove si preghi è un masjid, anche se la parola araba tradotta in «santuario» rinviava ancora nel Quattrocento, e secondo l’antico storico arabo Ibn Khaldun, alle sole moschee della Mecca (masjid al-Haram), Medina e Gerusalemme. Un numero certo esiguo rispetto alle stime di Broug, che ne elenca oggi tre milioni, sparse un po’ dovunque nel mondo, per avvalorare la sua tesi circa la «portata globale» dell’architettura islamica.
Sorte dalla volontà delle varie dinastie islamiche che si sono succedute nel tempo per legittimarsi nei confronti della loro comunità e del clero, le moschee, dalla loro forma originaria a cortile o, nella variante persiana, con una sala coperta da volta e aperta sul lato frontale (iwan), rappresentano la quintessenza dell’arte religiosa islamica. Nel volume se ne elencano di famose, ma anche altre poco note o affatto conosciute.
Dagli Omayyadi proviene la Cupola della Roccia a Gerusalemme, 691 d.C., il più antico monumento islamico giunto fino a noi. Ai Tulunidi, invece, si deve la costruzione della Moschea di Ibn Tulun al Cairo, e, sempre per restare nella capitale egiziana, ai Fatimidi la Moschea di al-Azhar (972 d.C.) e ai Mamelucchi le ricche e fastose moschee di al-Nasir Muhammed (1318) e del sultano Hassan (1363).
Le immagini di moschee, madrase, mausolei e palazzi, ognuna accompagnata da un breve commento, si succedono pagina dopo pagina senza un preciso ordine cronologico. La loro disposizione deriva più da esigenze grafiche e per affermare la continuità dei modelli architettonici, che pur avendo subito delle modificazioni, e influenze dall’architettura romana e bizantina, perdurano di là dei conflitti e delle divisioni che hanno attraversato e ancora percorrono il mondo islamico.
In contesti dove la religione islamica subisce anch’essa il fenomeno della secolarizzazione, Broug dispone le immagini fotografiche in un tentativo di dialogo tra modernità e tradizione. La Grande Moschea del Kafd a Riyad (2017), progettata dallo studio saudita Omrania, è posta accanto alla Grande Moschea della Mecca (VII sec.), oppure l’antica e frugale Moschea al-Bidya nell’Emirato di Fujayra (XV sec.) «dialoga» con la Grande Moschea dello sceicco Zayed ad Abu Dhabi (2007), algida nel suo biancore punteggiato di elementi in oro.
Putroppo, Broug non fa mai cenno alle guerre recenti e ai conflitti ancora in corso che hanno causato enormi distruzioni, e che ancora mettono a serio rischio parte del patrimonio culturale e architettonico di città e siti archeologici islamici. A Damasco, nel 2014, gli oppositori siriani di Bashar Assad hanno danneggiato gravemente la Grande Moschea degli Omayyadi (715 d.C.). Altrettanto è accaduto per il Minareto della Grande Moschea di Aleppo (1090), raso al suolo nel 2013 da un gruppo qaidista: è documentato nel volume di Broug in tutta la sua raffinata decorazione in pietra, insieme all’immagine integra della Cittadella (X-XII sec.), danneggiata anch’essa come non riuscirono a fare né i crociati franchi, né i Mongoli nel XIII secolo. A Damasco la Moschea è stata restaurata, mentre ad Aleppo tutto è in ricostruzione, compreso il Minareto. Ammirando le pagine con riprodotte le architetture islamiche yemenite di Rada, Jibla o di Wadi Hadramaut, tutte d’intonaco di calce colorato, si è obbligati a riflettere sulle loro condizioni attuali, perché la guerra civile che lì continua ha già prodotto dal 2015, secondo un rapporto UNESCO, la distruzione di quarantasette siti.
Dal territorio della Mezzaluna Fertile comprendente Siria, Palestina e la Media e Alta Mesopotamia, provengono le architetture più conosciute sul piano storico e archeologico. Broug racconta dell’Iran, dove tra il X e il XIII secolo si svilupparono nuove forme per la moschea, come a Isfahan, con l’introduzione di quattro iwan con la lororaffinatissima decorazione geometrica composta da mattonelle di ceramica colorata.
In Iraq le imprese che affrontò la dinastia degli Abassidi (750-1258) furono di fondare città come Bagdad e Samarra. Di quest’ultima sopravvive la moschea con il celebre minareto a forma di spirale, nonostante i saccheggi mongoli del 1258 e le bombe lanciate dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti nella seconda Guerra del Golfo.
Scrisse Cesare Brandi che l’architettura islamica può considerarsi «un altro Corano». Subì contaminazioni e «non inventò nulla». Chiudendosi alle arti della rappresentazione oggettiva fu una millenaria «ripetizione prammatica» della forma, ripetizione dalla quale non possiamo che essere tuttora ipnotizzati.
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