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Nella tragedia di Mottarone avidità e voglia di correre

Nella tragedia di Mottarone avidità e voglia di correre – LaPresse

Stresa Ora è il momento della «ricostruzione». C’è una gran fretta, insofferenza e contrarietà verso tutto ciò che evochi rispetto delle regole, controlli e responsabilità

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 1 giugno 2021

Trascuratezza ed avidità stanno dietro tutti i crolli e gli eventi luttuosi che funestano, con cadenza costante, il nostro paese. L’elenco è lungo. La funivia Stresa – Mottarone e il ponte Morandi sono gli ultimi di una lunga serie. È difficile tenere il conto di quanti ponti, viadotti, case, ospedali, scuole si sono sbriciolati al suolo negli ultimi decenni. Anche quando si tratta di calamità naturali (frane, alluvioni, ecc.) con perdite di vite umane, spesso c’è di mezzo l’incuria e fa sempre capolino il dio denaro. Nella strage del Mottarone è un dato di fatto che non sia stata fermata una funivia difettosa e che, per non perdere l’incasso di poche centinaia di euro, un giorno di festa è stato trasformato in tragedia. C’è di che interrogarsi su come e con quali criteri si affida la concessione di importanti impianti pubblici a soggetti privati, che poi li usano come bancomat.

La fatalità c’entra poco o niente. Il movente è sempre lo stesso: il business e, insieme, i meccanismi corruttivi e le pratiche illecite che lo supportano. Si risparmia sulla qualità dei manufatti e sui costi di manutenzione. Più si risparmia più si guadagna. Su questi semplici presupposti, a pensarci bene, si basa anche la richiesta di allentare le maglie del codice degli appalti o l’aperta preferenza degli imprenditori per le grandi opere (tipo Ponte sullo Stretto). I programmi di messa in sicurezza del territorio, la manutenzione delle infrastrutture, la stessa sicurezza delle condizioni di lavoro, aumentano i costi e riducono i ricavi. Non soddisfano le esigenze di guadagno.

Ingordigia ed egoismo (self-interest) incarnano da sempre lo spirito del capitalismo, il suo ethos. Sono il collante dei rapporti di affari e di convenienza. Costituiscono la forza propulsiva di una società che fa dell’individualismo un valore fondante. Tutto diventa calcolo utilitaristico: dare ed avere, entrate ed uscite. E l’avido cerca sempre di accrescere le entrate. Avidità e calcolo sono diventati la bussola che orienta l’economia e la società.

Sul Foglio del 28 maggio si rifiuta qualsiasi accostamento tra avidità e capitalismo. Sarebbe improprio in quanto l’avidità c’è sempre stata, in tutte le epoche della storia, e sempre ci sarà. È vero. Il punto è che prima, fin dall’antichità, era considerata un vizio, mentre con il capitalismo è assurta al rango di virtù.

La tragedia del Mottarone è tutta dentro la civiltà in cui siamo immersi. Ci parla di valori, comportamenti, stili di vita fortemente incardinati nella nostra società. La quantità fa premio sulla qualità. La perdita di vite umane è archiviata alla stregua di un danno collaterale. Naturalmente, nell’immediatezza dei disastri o degli infortuni sul lavoro, le lacrime di coccodrillo vengono versate copiosamente e senza risparmio alcuno. L’importante è andare avanti. The show must go on (lo spettacolo deve continuare).

In nome dell’accumulazione capitalistica si giustificano la rapina delle risorse naturali del pianeta e lo sfruttamento degli uomini. Si nega l’evidenza dei cambiamenti climatici. Si tollerano nuove e vecchie povertà. Le grandi disuguaglianze territoriali e sociali sono il prezzo da pagare alla crescita. E quando a qualcuno viene in mente di proporre «qualcosa di sinistra», anche la più innocua, la bocciatura è immediata. Si grida al pericolo comunista. Persino gli accorati appelli di papa Francesco sono ignorati o, addirittura, derisi da una certa stampa. È meglio non parlare di solidarietà verso i più deboli, di accoglienza e rispetto verso gli immigrati, di lavoro, di estensione dei diritti civili.

Ora è il momento della «ricostruzione». C’è una gran fretta. C’è insofferenza e contrarietà verso tutto ciò che evochi rispetto delle regole, responsabilità e controlli. Liberare l’economia da «lacci e lacciuoli» è il mantra. La destra sente, in questi momenti, un’attrazione fatale per la «razza padrona». La coccola e ne coltiva i vizi. L’evasione fiscale è giustificata perché le tasse sono alte. La destra è in ansia per la fetta di torta spettante alle imprese con il Recovery plan. I contributi pubblici, naturalmente, sono meglio del rischio d’impresa. Spende parole buone in difesa di privilegi corporativi e di rendite di posizione.

L’importante è correre. Chi non sta al passo è fuori. Se uno nasce povero, peggio per lui. Da questa aberrante ideologia discende anche la negazione della vecchiaia. È meglio nasconderla in moderni lazzaretti. Anzi, per alcuni presidenti di Regione, è stato un errore vaccinare gli anziani prima degli altri. La priorità andava data al turismo e alla movida.

È il momento dei giovani. Si gioca a contrapporgli gli anziani. La retorica giovanilistica si spreca, è un leit motiv. Ma se gli eredi di grandi ricchezze finanziarie e immobiliari sono chiamati a contribuire al finanziamento di un pezzo di welfare per i giovani più svantaggiati si alzano al cielo forti lamenti sui comunisti che attentano alla proprietà privata. Forse l’avidità c’entra qualcosa.

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