Esistono parole dai numerosi significati, declinazioni opposte che hanno un impatto nella vita quotidiana dei soggetti che le agiscono o le subiscono. Alcune più di altre definiscono la realtà, ne segnano i perimetri di azione. Tra queste, in un’Italia per geografia «terra di mezzo», c’è «intercultura».
Del senso multiplo che il termine assume tratta Paesaggi interculturali nella terra di mezzo a cura di Adel Jabbar, Giusi Diquattro e Gianluca Gabrielli (Kanaga Edizioni, pp. 231, euro 18). Il libro è contenitore ma anche filo rosso di diverse forme di analisi e racconto delle migrazioni, dalla narrazione individuale all’esperienza di realtà locali, dall’esame politico del linguaggio che dai media rimbalza nell’opinione pubblica a quello delle pratiche più radicate, volontarie o involontarie, di razzismo sociale o istituzionalizzato.

NEGLI INTERVENTI – a firma di filosofi, sociologhe, insegnanti, poete, ricercatori e mediatrici culturali, nati e/o cresciuti in Italia – comune denominatore è l’approccio orizzontale al concetto di intercultura, dai contorni da definire come ancora da definire è la sua validità. Un approccio che non infantilizza e non esclude il migrante, né tramuta in semplice asset per la società di arrivo il migrante. Che non è più passività da narrare ma protagonista orizzontale di un’autonarrazione che non rifugge il contesto: uno spazio-luogo teoricamente estraneo alla cultura di origine ma potenziale base per la condivisione di aspetti culturali e sociali universali.

Nei vari testi, nelle esperienze pratiche come nelle analisi più teoriche, risalta il concetto di identità multipla, che non è relegata alle sole origini ma si sviluppa nella relazione con gli altri e l’ambiente. In tal senso la definizione di perimetri locali gestibili entro i quali proporre il terreno di incontro, mediazione e obbligata interazione, è utile all’accesso eguale e paritario e all’attenuazione degli ostacoli di classe, etnia e cittadinanza che ancora oggi radicano i diversi gradi di diseguaglianza sociale.
Perché sta qui il messaggio del libro: le migrazioni si inseriscono nella divisione di classe delle società occidentali, si intersecano alle realtà di arrivo e generano ulteriori scalini sociali.

LA MARGINALIZZAZIONE – che sfiora la totale esclusione – basata sul mix tra povertà e diversa appartenenza etnica e/o religiosa si traduce nel mancato riconoscimento di diritti pieni di cittadinanza, un’emarginazione figlia della relazione asimmetrica tra culture, la dominante (espressione dei colonialismi) e la dominata (soggetta a svilimento o schiacciata su stereotipi).
Fondamentale diventa la decolonizzazione degli spazi pubblici e del linguaggio collettivo. Paesaggi interculturali nella terra di mezzo offre esempi concreti di trasformazione dei significati, dai cambiamenti nella toponomastica alla riscoperta di termini come meticciato, quell’identità mista che si riscopre ovvia realtà in territori come il nostro, millenario spazio di scambio e incontro.