Nella terra che frana portando via i ricordi
Geografie Intorno al libro «Il risveglio del drago» di Vito Teti, edito da Donzelli. Cavallerizzo è un borgo della Calabria con una lunga storia e una cultura radicata. Sanctified Hill è un ghetto di persone arrivate lì da un paio di generazioni al massimo: catastrofi diverse e allo stesso tempo affini
«Pioveva, come pioveva, san Giorgio mio, quella notte a Cavallerizzo, come urlavano i burroni, nel buio, tra il 6 e il 7 marzo 2005», scrive Vito Teti ne Il risveglio del drago (Donzelli, pp. 344, euro 32). Una pioggia torrenziale, Cavallerizzo comincia a scivolare, qualcuno dà l’allarme: «il paese è partito», grida Domenico, correndo di casa in casa: «Correte a suonare le campane, andate ad avvisare la gente… La gente esce in strada, così com’è vestita… ‘Fuggite! Fuggite! Il paese crolla».
Racconta Ed Cabbell, bluesman e organizzatore culturale: «Il 15 dicembre 1972, le 44 famiglie della derelitta comunità afroamericana di Sanctified Hill a Cumberland, Kentucky, ricevettero dalla polizia l’ordine di evacuare le loro case. La collina era minacciata da una gigantesca frana di fango; le case cominciarono a spaccarsi e a scivolare in basso lungo i sentieri di terra battuta, verso le strade asfaltate del quartiere bianco giù in basso».
SONO DUE STORIE di catastrofi, in Appalachia e in Calabria, affini e diverse. E proprio la differenza, il diverso rapporto con il tempo, lo spazio, la storia, lo stato, la religione, la memoria – ci aiutano a capire i rispettivi contesti storici e il senso delle rispettive culture.
Partiamo dalla storia. «Da anni, la comunità nera aveva segnalato all’amministrazione comunale il rischio di una simile frana, inutilmente»; Cavallerizzo «aveva imparato a convivere con la frana della collina su cui poggia almeno dal XVI secolo» (Teti). Anni e secoli: la prima differenza sta nel tempo. Cavallerizzo è un paese con una lunga storia e una cultura radicata che Teti ricostruisce in pagine ammirevoli non fosse altro che per la qualità della scrittura. Sanctified Hill è un ghetto di persone arrivate lì da un paio di generazioni al massimo. Entrambe ricordano di essere creazioni di profughi: esuli albanesi scappati dalla conquista ottomana mezzo millennio fa, e afroamericani fuggiti dalla segregazione in Alabama negli anni ’20 e ’30. Sono minoranze: arberesh, afroamericani. Ma per i primi lo spazio perduto significa identità e memoria, per gli altri esclusione e razzismo.
QUANDO DOMENICO GRIDA «il paese è partito», scrive Teti, è «come se annunciasse, con dolore e stupore, la morte di una persona cara». A Cavallerizzo la catastrofe genera quel senso di spaesamento che l’autore descrive con tanta partecipazione da fartelo sentire addosso – lo «stupore», il «cordoglio» di «gente frastornata» che accomuna il paese alla «malinconia da catastrofe delle popolazioni calabresi» e di tante comunità dell’Italia interna a rischio di scomparsa. Anche persone «che hanno studiato», viaggiato, laureati, diplomati, a loro agio nella modernità e coi media, «ritornano a sognare San Giorgio, i santi, i defunti che annunciano disgrazie» che sembrano riemergere dal fondo della cultura tradizionale.
A Cavallerizzo le ferite sono nell’anima: si perdono ricordi, affetti, rituali. A Sanctified Hill, la perdita è materiale: «il lavoro e gli investimenti di una vita di questa comunità di vedove e minatori in pensione era scivolato via» (Cabbell).
PENSO ALLA DIFFERENZA dei suoni: apocalittici a Cavallerizzo (l’urlo dei burroni, «il ringhio del drago… un grande boato, il rumore degli alberi inghiottiti dalla terra») e domestici a Sanctified Hill («sentivamo i rumori ma credevamo che fosse la caldaia in cantina che scattava», Wylletta Lee, organizzatrice di comunità). Attorno a entrambi i disastri aleggiano storie sacre, ma molto diverse. Nei secoli, Cavallerizzo aveva reimmaginato la frana incombente come un drago sepolto che solo san Giorgio, patrono del paese, teneva sotto controllo.
Sanctified Hill, battista, holiness e intrisa di etica calvinista, non contava sui santi ma sulla coesione della comunità attorno all’unica istituzione che possedeva, la chiesa. Tanto più che dopo la frana, per non pagare i danni, le assicurazioni e le istituzioni sostennero che la pioggia e la frana erano «un atto di Dio». A Cavallerizzo, san Giorgio sta dalla parte del paese e lo protegge; a Sanctified Hill, da che parte sta Dio è tutto da decidere, e la comunità deve proteggersi da sé, e si organizza.
«Hanno capito subito che non li avrebbe aiutati nessuno», racconta Wylletta Lee, perciò formarono un comitato e con l’assistenza di organizzazioni di base in diverse parti del paese, «riuscirono a andare a Washington, incontrarsi col presidente e i suoi assistenti», trovare i finanziamenti, e costruire su un terreno donato dal college locale una comunità modello che «vale più di un milione di dollari».
C’È ANCORA LA CHIESA al centro del villaggio (dove cercarono di convertirmi ungendomi con l’olio Bertolli), ma il cambio di nome – dal religioso rurale proletario Sanctified Hill al laico e suburbano middle-class Pride Terrace, terrazza dell’orgoglio, l’orgoglio della capacità di iniziativa e di gestione mostrata nella serena dignità del nuovo spazio conquistato – sottolinea che la transizione non è solo spaziale ma anche sociale e culturale.
Anche Cavallerizzo si organizza per sopravvivere. Solidarietà ritrovate accantonano vecchie ruggini, si lavora per recuperare gli oggetti, le feste, i riti. Sanctified Hill, spiega Wylletta Lee, era troppo piccolo e periferico perché lo stato lo dichiarasse «area di disastro»; a Cavallerizzo, il governo riconosce immediatamente lo stato di emergenza e la Protezione civile si attiva per far arrivare i soccorsi.
Ma non sarà il paese a gestirli. Anzi, la gente adesso si divide, fra l’idea di tornare al paese e quella di ricostruirlo da capo (e la divisione stessa causa altro dolore). Alla fine, con la gestione della Protezione civile e la direzione (partecipe e autoritaria) di Guido Bertolaso, si opta infine per costruire una nuova Cavallerizzo sulla collina di fronte e «delocalizzare» gli abitanti.
Ma, scrive Teti, «non è facile rifare un paese. Un paese… non è uno spazio vuoto e aperto, non è nemmeno le sue case e le sue strade; un paese è storia, relazioni, memorie, rapporti, vincoli, condivisioni». Nonostante le promesse di rispettare la struttura e i rapporti sociali del paese perduto, il nuovo spazio «appare l’esito di un progetto seriale, buono per tutte le ricostruzioni, come il gioco dei mattoncini per i bimbi», come dice un abitante: «una serie di case tutte uguali», senza una fontana, un muretto, e nemmeno la chiesa, dove i nuovi abitanti si aggirano «precari, stranieri, storditi» e dalle finestre vedono ancora il paese abbandonato e perduto.
Davanti la catastrofe, Cavallerizzo e Sanctified Hill si trovano a fare i conti con un’idea di modernità: la transizione da un modello semirurale a uno stile di vita di suburb o di periferia. Le foto di Cavallerizzo nuova nel libro di Teti hanno molto in comune con le foto che mi sono portato dietro io da Pride Terrace: spazio, asfalto e cemento. Ma a Sanctified Hill è una conquista, a Cavallerizzo somiglia di più a qualcosa calato dall’alto.
QUI CI AIUTA UN’ALTRA storia: un romanzo di fantascienza, La città sostituita di Philip K. Dick (The Cosmic Puppets ,1957). Un certo Ted Barton, trovandosi in vacanza negli Appalachi (quindi dalle parti di Sanctified Hill) sente «un forte impulso» di tornare a visitare Millgate, il paese dove era nato e da cui era emigrato molti anni prima. Ma all’arrivo, Barton scopre che il paese sembra lo stesso ma è tutto diverso. Millgate, spiega Dick, era il luogo dove era avvenuto il cosmico conflitto tra i principi del bene e del male, Ormuzd e Ahriman, e quest’ultimo ha ricoperto il paese originario creato da Ormuzd con uno identico ma artificiale, dove si aggirano silenziosi e spaesati i fantasmi degli antichi abitanti. Ted Barton, però, era andato via prima di questa sostituzione, e quindi ricorda il paese com’era prima che avvenisse: grazie al fatto che chi era andato via ancora ricorda il paese come era, sarà possibile farlo rivivere e sconfiggere il piano malvagio di Ahriman.
Ora, Bertolaso non era Ahriman, e aveva a suo modo buone intenzioni; ma anche la nuova Cavallerizzo sostituisce artificialmente una realtà perduta che sembra sopravvivere soprattutto nella memoria di chi ha dovuto andarsene. Chi sono oggi Ormuzd e Ahriman, è possibile ancora distinguerli? Anche a Sanctified Hill e a Cavallerizzo i migranti tornano – con orgoglio in una comunità rinnovata, con nostalgia e disorientamento in un paese dove non si riconoscono. Ma c’è un ultimo giro di vite. Scrive Mario Bellizzi, uno storico calabrese citato da Teti: Cavallerizzo «ora ha i morti che stanno alla porta del paese a vigilare e dicono ai vivi di essere radicali testimoni della vita».
La nuova Cavallerizzo ormai esiste da quasi vent’anni, non tanti di meno della vecchia Sanctified Hill. Come avverte Teti, ci sono bambini che sono nati o cresciuti qui. Non ricordano il vecchio paese, il loro spazio e tempo sono questi. E la storia ricomincia.
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