Alias Domenica

Nella sua radicalità logica la sopravvivenza della psicoanalisi

Nella sua radicalità logica la sopravvivenza della psicoanalisiMax Ernst, «Composizione surrealista in blu», 1960

Luoghi della psiche Jacques Alain-Miler, «La nascita del Campo Freudiano», da Quodlibet

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 23 giugno 2024

Nello sforzo di verificare lo statuto epistemologico della psicoanalisi, Jacques Lacan ha tentato  per tutto il corso del suo insegnamento di dimostrarne la sostanza della fine, e – con essa – la sostanza di un analista: lo ha fatto con un’insistenza rara, odd è il termine che potremmo prelevare dalla sua lettura della Lettera rubata di Edgar Allan Poe, esponendosi a diversi rischi, molti guai e qualche gioia. Nel proporre questa doppia dimostrazione Lacan si è trovato ben presto ad annodarla in un unico punto: la fine di un’analisi è un atto, lo psicoanalista è un atto. La fine di un’analisi diventa così il passo in cui ci si trova a perdere il desiderio in cui si è presi, e a incarnare il reale con il quale si è alle prese. L’analista diventa chi si trova in questo atto, chi accade in questo passo.

Radicalizzata così, la concezione freudiana della fine della analisi, e sovvertita quella postfreudiana, Lacan ha inoltre rovesciato, in modo radicale, la concezione dell’analista, riconducendola all’atto di conclusione di una analisi e non all’esercizio della professione: da qui la frase «l’analista si autorizza soltanto da sé» che tanto ha fatto discutere, ma che a ben vedere altro non indica se non il fatto che che «l’analista si autorizza soltanto» a partire da ciò che egli stesso è diventato nel corso della propria analisi. In questa direzione, due sono i nuovi concetti, e le esperienze, che Lacan ha introdotto nella psicoanalisi: quello di Scuola – che non è un’associazione di psicoanalisti bensì un luogo nel quale questi vengono messi al lavoro a partire dall’ignoranza su cosa sia la fine di una analisi e su cosa sia uno psicoanalista; e  quello di passe, procedura attraverso la quale chiunque abbia concluso la propria analisi può dimostrare ai partecipanti della Scuola come l’ha portata a termine.

Tutto ciò ha determinato non pochi problemi tra gli allievi di Lacan, producendo divisioni, polemiche, guerriglie, le quali, al di là degli inevitabili narcisismi, testimoniano l’introduzione, da parte di Lacan, di una strettoia per lo psicoanalista e per la psicoanalisi, entrambe più semplici da evitare e contestare che frequentare. Jacques-Alain Miller, allievo e erede degli scritti di Lacan, si è battuto e si batte praticamente, teoricamente, politicamente, per affermare e consolidare questo nodo e  La nascita del Campo Freudiano (Quodlibet, pp. 314, € 24,00) ne è una testimonianza dettagliata e approfondita.

A spingere la sua battaglia c’è, tra l’altro, una convinzione radicale: solo affermando questo nodo la psicoanalisi può continuare a esistere: in quanto sintomo, e non in quanto oggetto di una cancellazione/normalizzazione, come  sta accadendo: «Non è lo spirito di compromesso, ma piuttosto l’estremismo a salvaguardare la psicoanalisi – scrive Miller; la timidezza, l’eclettismo, il «né carne né pesce», finiranno senza dubbio per ucciderla. Solo la radicalità logica ci dà la possibilità di garantire la sua riuscita sociale e il suo progresso storico».

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