Nella storia di traumi collettivi
GEOGRAFIE «Democracy», l’esposizione alla National Gallery Alexandros Soutsos di Atene fino al 2 febbraio 2025. Una mostra sul ruolo politico dell’arte negli anni Sessanta e Settanta in Grecia, Spagna e Portogallo. 140 opere di 55 artisti distribuite in quattro sezioni tematiche per dare vita a un percorso che dia conto della «riconquista democratica» nel Sud d’Europa. Nell’interrogarsi sul passaggio dalla dittatura alla libertà, l’iniziativa greca celebra anche il 50° anniversario della caduta del regime dei Colonnelli nel 1974
GEOGRAFIE «Democracy», l’esposizione alla National Gallery Alexandros Soutsos di Atene fino al 2 febbraio 2025. Una mostra sul ruolo politico dell’arte negli anni Sessanta e Settanta in Grecia, Spagna e Portogallo. 140 opere di 55 artisti distribuite in quattro sezioni tematiche per dare vita a un percorso che dia conto della «riconquista democratica» nel Sud d’Europa. Nell’interrogarsi sul passaggio dalla dittatura alla libertà, l’iniziativa greca celebra anche il 50° anniversario della caduta del regime dei Colonnelli nel 1974
In quest’anno di grandi elezioni nel mondo, la National Gallery Alexandros Soutsos di Atene dedica una mostra al ruolo politico dell’arte negli anni Sessanta e Settanta in Grecia, Spagna e Portogallo. Democracy, visitabile fino al 2 febbraio 2025, racconta con una straordinaria varietà di colori, suoni, forme e tecniche artistiche il passaggio dalla dittatura alla libertà celebrando così anche il 50° anniversario della caduta del regime dei Colonnelli nel 1974. La reazione degli artisti greci in quei due decenni di transizione viene messa a confronto con quanto avveniva negli ambienti artistici in Portogallo, che nello stesso anno mise fine al regime di Salazar con la Rivoluzione dei Garofani, e in Spagna con la restaurazione della democrazia dopo la morte di Franco nel 1975.
A cura della direttrice della Galleria, Syrago Tsiara, e realizzata in collaborazione con prestigiose istituzioni artistiche e collezioni private spagnole e portoghesi, questa pregevole mostra presenta 140 opere di 55 artisti distribuite in quattro sezioni tematiche che danno vita a un percorso espositivo affascinante e potente per raccontare visivamente i traumi che hanno accompagnato la riconquista della democrazia nel Sud d’Europa.
LA PRIMA SEZIONE, Facing the Enemy/ Davanti al nemico, si apre con un caricaturale ritratto del caudillo Franco di Botero (1986) che ben introduce lo stile parodico e satirico con cui le opere realizzate durante le tre dittature da artisti in esilio o che lavoravano in clandestinità raffigurano il volto repressivo dei regimi totalitari. Centrale è la figura dell’informatore, del confidente doppiogiochista al servizio dei sistemi di sorveglianza che qui viene ironicamente delegittimato dall’arte pop di Giorgos Ioannou, uno dei maggiori esponenti greci di questa tecnica.
In The Snitch (1974), ispirandosi ai fumetti in uno stile che ricorda Lichtenstein, l’artista presenta lo stereotipo della spia in abito nero, volto nascosto e postura arrogante, di statura sproporzionata rispetto al tempio classico in cui si trova per ridicolizzare la pretesa dei totalitarismi di cancellare o dominare intere civiltà. Anche la statua in «papier mâché» Espectador de espectadores (1972) del collettivo spagnolo Equipo Crónica raffigura un agente della polizia segreta, seduto e con il volto coperto da occhiali neri– un esemplare, questo, della serie che comparve clandestinamente nel pubblico a Pamplona durante una performance teatrale. Di fronte, nella stessa posizione, la scultura Five or Six (1970) di Yannis Gaïtis: il suo tipico personaggio, il piccolo uomo senza volto con bombetta e abito rigato, immagine dell’individuo massificato della società capitalistica, è qui riprodotto di profilo cinque volte nel ruolo di infiltrato nel sistema di controllo del regime.
NELLA SEZIONE Resistance/Resistenza colpiscono le incisioni in bianco e nero di Tassos realizzate durante i sette anni della giunta dei Colonnelli. Le sue forme stilizzate e bidimensionali ricordano le pale bizantine nella loro staticità espressiva e attingono all’arte religiosa e all’iconografia di eroi del passato per raccontare il dolore, la rabbia e le sfide di gente comune o di celebri rivoluzionari. Come scrive la curatrice, Tassos narra «il trauma collettivo» che attraversava il paese in solidarietà con i movimenti di protesta di quegli anni. In una delle bellissime xilografie dedicate alla memoria di Che Guevara, Searing Grief (1968), le figure frontali e piatte di tre donne raccolte in un abbraccio sono l’icona di un dolore atemporale nella lotta per le libertà. Angela Davis in abiti da guerriera medievale, mani giunte e due colombe, spicca su un’altra tavola.
La rivolta degli studenti nel 1973 che culminò con l’occupazione del Politecnico di Atene e la brutale repressione del regime ricorre nella sezione Uprising/Insurrezione. Il 17 novembre un carro armato sfondò il cancello della Facoltà e l’esercito represse nel sangue la protesta degli studenti asserragliati nell’edificio che dalla loro radio pirata invitavano la popolazione a ribellarsi alla dittatura. È ancora la lingua pop di Giorgos Ioannou a illustrare il tragico epilogo della rivolta che portò alla caduta del regime. Nel grande fumetto Protest at the Polytechnic (1973) vediamo il carrarmato, la polizia e l’esercito attaccare gli studenti che cadono sotto i loro colpi o fuggono armati solo della bandiera greca; in un ritaglio, in alto, uno di loro trasmette appelli dalla radio mentre sullo sfondo è ritratta la folla degli ateniesi che si erano uniti alla manifestazione.
LA CRONACA dell’evento è illustrata alla base della tela National Technical University of Athens (1975) di Marios Vatzias; nella parte centrale i corpi dei rivoluzionari sono portati in cielo da angeli e trasfigurati, nella terza striscia, in figure celestiali con il loro slogan, Pane, Istruzione, Libertà, in un’ideale replica del Politecnico dai colori tenui e con i cancelli infiorati. Scene, queste, che sembrano precorrere il massacro in Piazza Tienanmen, la primavera araba e la rivolta dei giovani iraniani dopo l’assassinio di Masha Amini. In Murdering Freedom or The Colonels (1968) di Yannis Gaïtis un plotone armato mira a una colomba, figurazione della democrazia ferita, mentre in The Bird (1971) l’uccello, qui nero e immenso, sorvola in un cielo rosso fuoco le folle anonime caratteristiche della sua arte. Con elementi del fumetto e surrealismo anche lo spagnolo Alberto Solsona illustra El arte de la guerra (1973): una parata militare, un fucile più grande dei soldati, una serie di cervelli umani procreatori di una tale visione della vita.
Un paio di opere richiamano il conflitto in Vietnam in chiave decisamente antiamericana. La greca Vasso Kyriaki la racconta in un collage fotografico: prigionieri incappucciati su un lato, soldati Usa che bloccano un Vietcong sull’altro, in basso un uomo sorregge una donna vittima del conflitto, al centro una grande macchia rossa separa dei corpi trucidati da quelli di vietnamiti in fuga. Nell’enigmatica scultura Theatre-Vietnam (1968) di Christos Kapralos un nudo femminile mutilato siede a una sorta di biglietteria per l’ingresso nel truce spettacolo della guerra.
IL PERCORSO ESPOSITIVO si conclude con Arousal/Risveglio. Il corpo maschile torturatore o torturato fin qui dominante è ora sostituito da sensuali forme femminili che interpretano la riconquistata libertà, l’identità di genere e l’emancipazione, suggerendo un rapporto fra dittatura e patriarcato. Colpiscono i coloratissimi nudi di donna del portoghese Nikias Skapinakis e le donne-guerriero in stile bizantino di Giorgos Sikeliotis. Il video in Super 8 Revolução (1975) della regista, poeta e saggista portoghese Ana Hatherly è invece un collage di immagini, suoni e canti che documenta l’entusiasmo nelle strade di Lisbona nei giorni della Rivoluzione dei Garofani.
Si esce dalla mostra e dalla National Gallery, splendidamente rinnovata in stile ultramoderno e riaperta al pubblico nel 2021, affascinati dall’intreccio di suggestioni e rimandi, dall’uso politico della pop art, dalla moltitudine di iconografie e linguaggi che narrano cosa significa, ieri come oggi, lottare per la libertà. La democrazia, ci dicono le opere di questi grandi artisti del Sud d’Europa, è sempre una conquista e talvolta lascia dietro di sé scie di sangue.
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