Riti, maledizioni e sortilegi, poi ancora lo stigma delle persecuzioni, violenze e conflitto sociale, sono solo alcuni degli elementi che vanno a costruire l’immaginario intorno alla strega. Più che una figura univoca si tratta infatti di una costellazione, o meglio di un «tema», come nota Luca Scarlini curatore di una mostra appena inaugurata nelle sale quattrocentesche di Palazzo Pallavicini a Bologna e visitabile fino al 16 di giugno. Precedentemente a Monza, ora Stregherie. Iconografia, fatti e scandali sulle sovversive della storia (prodotta da Vertigo Syndrome) è un viaggio che si arricchisce di ulteriori contributi, in particolare oggetti, oltre a diventare occasione di seminari teorici di approfondimento, con cadenza quasi settimanale, sulle varie declinazioni che la questione delle streghe richiede.

CIRCA 300 SONO LE STAMPE, sculture e quadri che sono stati pensati per la nuova (e diversa) esposizione nella sede bolognese; tra le incisioni appartenenti alla collezione di Guglielmo Invernizzi, spiccano quella di Raffaelo Gualterotti (1579) in cui compaiono un drago e una strega, la xilografia di C. Neureuther (1876) dedicata ad Hansel e Grethel, le litografie della serie «Demonologia e stregoneria» (1845) di Henry Heath, alcune esaustive acqueforti di Goya (1881-1886). Infine una delle rappresentazioni più note di Waterhouse, «The magic circle» (in fotoincisione) che dà il passo di quanto il percorso intorno alle «stregherie» (cui si aggiungono altre opere appartenenti a Emanuele Bardazzi, Edoardo Fontana e Luca Locati Luciani, anche loro collezionisti appassionati di simbolismo macabro) sia assai stratificato, e attraversi accezione pagane, potenti e visionarie, perlustrando capricci, capri espiatori e tenendo insieme alcuni nomi lucenti tra cui Diana, Aradia e Circe, di cui il testo critico di Scarlini dà conto nel catalogo ora pubblicato per Skira, corredandolo di una bibliografia utile suddivisa in documenti, saggi e ricerche, opere letterarie e iconografia.
I fili di una storia di oppressione che hanno visto nei secoli le accusate di stregoneria morire spesso a causa della loro unica e semplice presenza (in Italia, come nel resto dell’Europa) si intrecciano a momenti topici, tra cui si distingue il Malleus Maleficarum, pubblicato nel 1487 e presente in mostra nella seconda edizione del 1520.

SUL SIGNIFICATO, storico ma soprattutto politico e simbolico, della caccia alle streghe, è possibile leggere due libri: intanto quello di Silvia Federici del 2004, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria in cui si ripercorrono tre secoli di storia europea; il secondo è altrettanto decisivo e lo ha scritto Luisa Muraro nel 1976, La Signora del gioco mettendo ordine in un materiale importante, cioè le parole di donne accusate di stregoneria, attraverso le carte dei processi. Che cosa dicevano queste donne, quali erano le loro voci, i loro pensieri, e come vivevano? Sono tra le domande che aleggiano camminando nelle nove sale dedicate. Con una matrice di tradizione popolare vivissima affiorano alcuni fra gli oggetti più affascinanti provenienti dal Museo delle Civiltà di Roma, che ha concesso in mostra, per la prima volta, la collezione di amuleti ottocenteschi, simili per preziosità a veri e propri gioielli. Si tratta di amuleti a forma di falce di luna, il cui simbolo si riscontra diffuso nell’Italia centro-meridionale contro il malocchio. In Abruzzo è per esempio collocabile uno di questi oggetti, acquisiti nel 1910, a forma di luna falcata con una rana che rappresentava fecondità e rigenerazione. Simili a pendagli, talvolta tenuti insieme da fettucce, sono poi i poliamuleti, generalmente regalati ai neonati come portafortuna. In argento anche le sirene, tra i simboli antistregonici più efficaci, compaiono di contrasto all’invidia e alla malasorte, con pendagli che fanno rumore per allontanare spiriti non pacificati. E se i cavalli alati, in genere unicorni, vanno a proteggere sempre le culle dei nuovi nati, interessante è l’auriga, con due cavalli, guidata da una donna, anche lei alata e con lo sguardo frontale.

Famosa carta manoscritta, trovata nello scapolare della strega Conti, Toscana 1911

POCO PIÙ AVANTI si può ammirare il cartiglio (dalla raccolta di Paolo Mantegazza) trovato nello scapolare di una donna, la «strega» il cui cognome era Conti, nella Toscana di fine Ottocento. Dinanzi a queste emersioni, il pensiero non può non andare a Ernesto De Martino ma soprattutto a Clara Gallini.
Insieme ad alcuni prestiti del Museum of Witchcraft and Magic in Cornovaglia, per esempio i feticci, tra cui quello di Cecil Williamson in metallo, ceramica, fuliggine e semi arborei, e infine calderoni e pergamene etiopi, l’immaginario complesso, articolato lungo l’arco di una vicenda che verga le tradizioni, come le differenze di classe, i confini politici ed etnologici, si aggiungono informazioni ascrivibili a una persistenza: la prima è che in alcuni luoghi del mondo l’accusa di stregoneria mette ancora in pericolo la vita delle donne: per esempio in Arabia Saudita, Ghana, Papua Nuova Guinea come in alcune zone dell’India. Il ruolo di sobillatrice della malasorte, sterminatrice di prole, collusa con il male assoluto, non sembra essersi disgiunta dalla misoginia che ha sempre caratterizzato la persecuzione ai danni delle streghe, nello sguardo maschile. La seconda notizia, collaterale alla mostra bolognese (che si correda delle illustrazioni, accessibili anche ai bambini, di Enrica Mannari) è che ci sono oggi forme di neo-sciamanesimo in Italia, di spiritualità e connessione con la natura e il vivente, i cui riti in parte sono stati fotografati da Valeria Gradizzi (gli scatti saranno visibili fino al 14 aprile).

Buona è dunque l’opportunità fornita da Stregherie di un primo ingresso al mondo enorme e frastagliato che il tema evoca; l’aspetto esoterico, insieme a quello popolare e storiografico, si spinge fino alla contemporaneità in cui a interrogare è un certo affastellamento sensoriale di cui per esempio fanno parte alcune esperienze cosiddette «immersive» e che invece talvolta meriterebbero sottrazione più che addizione. Infine viva il fuoco, se è simbolico elemento trasformativo che produce alleanze e fa tremare le piazze di quella sovversione radicale e rivoluzionaria che è stata il femminismo. Per citare ancora Muraro, «Con il diavolo si fanno dei patti, con la Signora mai».