Visioni

Nella soap spaziale l’eroina si è smarrita

Nella soap spaziale l’eroina si è smarritauna scena di Jupiter, sotto i fratelli Wachowski

Cinema Nelle sale «Jupiter-il destino dell’universo», il kolossal fantascientifico dei fratelli Wachowski che intendono portare lo spettatore in un sontuoso mondo parallelo

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 6 febbraio 2015

Quando Lana e Andy Wachowski hanno iniziato a lavorare sul loro kolossal fantascientifico, Jupiter – il destino dell’universo – non pensavano a 2001 Odissea nello spazio, a Guerre stellari o all’universo Marvel (anche se alcuni dei loro personaggi ricordano i mercenari di I guardiani della galassia) ma a Il mago di Oz. Dorothy/Judy Garland non è la prima cosa che viene in mente guardando il nuovo film dei fratelli di The Matrix, ma è in quella chiave che i Wachowski hanno concepito la loro Jupiter (Mila Kunis) battezzata come un pianeta (Giove) per via del papà astronomo inglese, che però è stato ucciso quando lei era bambina.

Cresciuta in un quartiere povero di Chicago dalla mamma russa, Jupiter passa le sue giornate non scrutando il cielo bensì le innumerevoli tazze dei ricchi gabinetti che è costretta a pulire per mantenersi. Il suo «Kansas» è un quotidiano a base di sveglia alle 4.30 di mattina, ore e ore di lavori domestici in case altrui e serate un po’ grevi intorno al tavolo della famiglia d’immigranti. Ma, come Dorothy, anche Jupiter viene presto risucchiata in un mondo molto più favoloso e stravagante, non da un tornado, bensì perché il suo DNA risulta misteriosamente identico a quello di una donna che, prima di morire, controllava la famiglia più potente dell’universo, gli Abrasax.

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Jupiter (ma per capirlo ci vuole il press book del film) è «una Ricorrenza» e, a sua completa insaputa, la padrona di uno sterminato patrimonio intergalattico che include il pianeta Terra. La scoperta della sua esistenza complica la spartizione dell’eredità dei tre pessimi fratelli Abrasax –Balem, Titus e Kalique- che, indipendentemente uno dall’altro, ma tutti con fini nefasti, vogliono mettere le mani sui possedimenti della madre scomparsa. Difficile capire se per disegno o per vicissitudini di postproduzione, la trama è contorta, non sempre comprensibile e fortunatamente non troppo importante in questa soap opera spaziale il cui obbiettivo è quello di portare lo spettatore in un sontuoso universo parallelo, in cui – in una moltitudine di sfumature d’oro, ambra e fuoco- si combinano lo skyline di Chicago, l’antico Egitto, il museo Gehry di Bilbao, dei dentuti lucertoloni in livrea e Eddie Redmayne (Balem, il peggiore degli Abrasax) sull’orlo della crisi di nervi. Su questi sfondi, Jupiter passa di mano in mano, e di pericolo in pericolo – come un’eroina dei serial anni ’30. Titus vuole sposarla, Balem rapisce i suoi famigliari ricattandola perché firmi un contratto in cui cede tutto e Kalique non mi ricordo più. A tirarla fuori dai pasticci c’è sempre Caine Wise (Channing Tatum con orecchie a punta e barbetta caprina), una sorta di soldato di ventura attrezzato di calzature speciali che gli permettono di sfrecciare nello spazio come se fosse su una via di mezzo tra i pattini e lo skateboard.

Più operistica (Wagner è la loro cifra) e pittorica che interessata alla tecnologia, la sci-fi dei Wachowski ha sempre avuto ambizioni politico/filosofiche, che però in Jupiter si perdono presto nei buchi neri delle narrazione –nella spietata corsa al potere di Balem intravediamo una critica alle pratiche darwiniane del capitalismo; un inaspettato detour di Jupiter nella burocrazia spaziale è Kafka rivisto dal Terry Gillian di Brazil (il regista ha infatti un cameo nel film); l’ossessione per la purezza della stirpe ci riporta al nazismo ….Ma manca il collante perché queste idee abbiano risonanza.

Ci rimane un film confuso, un po’ noioso, spesso bello da guardare (i Wachowski hanno comunque più intuito per l’azione di Christopher Nolan) , una love story (tra Jupiter e Caine) su pattini dominata da vorticose cadute dall’alto verso il basso. L’idea di sfruttare molto il movimento verticale, hanno spiegato i fratelli in alcune interviste, viene dai grattacieli di Chicago (città in cui sono nati). Ma è anche – dicono ancora- una rappresentazione letterale dell’innamoramento (dall’inglese falling in love, cadere innamorati). Bella idea, peccato che non la trasmetta il film.

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