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Nel vaso dei Pandora Papers c’è mezzo mondo

Nel vaso dei Pandora Papers c’è mezzo mondoRe Abdallah di Giordania – Ap

Internazionale Il nuovo scandalo corre dal Medio Oriente all'America: i 14 appartamenti di re Abdallah di Giordania, le società segrete dei ministri del pakistano Khan, i soldi dei vertici libanesi con il paese alla fame e ben tre presidenti latinoamericani in carica 

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 5 ottobre 2021

MEDIO ORIENTE. I 14 appartamenti del re di Giordania e la rabbia libanese

Minaccia di «adire alle vie legali» la Casa reale giordana che respinge le rivelazioni contenute nei Pandora Papers che attribuiscono a re Abdallah la proprietà di quattordici abitazioni di lusso negli Stati uniti e in Gran Bretagna per un valore di oltre 100 milioni di dollari. Secondo quanto ha riportato l’agenzia di stampa ufficiale Petra è tutto «regolare» poiché non è un segreto che «sua Maestà Abdallah II possieda appartamenti non resi noti per motivi di sicurezza» e usati per le visite ufficiali. La Petra aggiunge che l’acquisto di queste proprietà è stato pagato con le risorse personali del re e non con fondi pubblici.

Nei Pandora Papers spiccano i nomi anche del miliardario e premier libanese Najib Mikati, del suo predecessore Hassan Diab, del banchiere ed ex ministro Marwan Kheireddine e di Riad Salameh, il governatore della Banca centrale del Libano. Personaggi, in particolare Salameh e Diab, che sono stati nel mirino del movimento di protesta iniziato nell’ottobre 2019. E così le rivelazioni hanno accresciuto lo sdegno dei libanesi, la maggior parte dei quali da due anni protesta contro corruzione e malgoverno e affronta le conseguenze di una crisi economica spaventosa. Mentre poche persone agiscono illegalmente offshore la gente comune non può neanche accedere ai propri risparmi in banca.

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GERUSALEMME. Coloni evasori due volte: no tax anche all’estero

Tra centinaia di politici, funzionari pubblici, re, presidenti, capi di governo e ricchi di tutto il mondo coinvolti in colossali evasioni fiscali e con proprietà segrete rivelate dai Pandora Papers, ci sono anche 565 israeliani. Tra questi alcuni miliardari e l’ex sindaco di Gerusalemme Nir Barkat. Ma c’è anche il nome di un’organizzazione dell’ultradestra religiosa impegnata da più di trent’anni a facilitare la colonizzazione ebraica di Gerusalemme est, la parte palestinese della città, a scapito delle famiglie arabe residenti. Si tratta dell’associazione Ateret Cohanim che ha usato società fittizie per acquisire proprietà immobiliari a Gerusalemme est, dove i palestinesi sotto occupazione rifiutano, tranne che in casi rarissimi, di vendere le loro case o la loro terra agli israeliani.

Ateret Cohanim, stanno alle indagini, però ha commesso un grave errore: non ha pagato le tasse, peraltro molte basse, nelle Isole Vergini britanniche dove si trovano le sue società di comodo. Perciò tecnicamente le Isole Vergini britanniche sono o sono state proprietarie di case a Gerusalemme est. Matti Dan, presidente di Ataret Cohanim, ha spiegato che si tratta di storie ormai vecchie e che nel frattempo, con l’aiuto i suoi consulenti legali, ha regolarizzato diversi casi aperti con le Isole Vergini.

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AMERICA LATINA. Destra offshore, con tre presidenti in carica e 11 ex

Miliardari esagerati, potenti congregazioni religiose, popstar. E tanti politici, anche ai massimi livelli. In America latina tra i personaggi più vistosi tracciati a vario titolo nei Pandora Papers come frequentatori seriali di paradisi fiscali ci sono ben tre capi di stato in carica: il presidente cileno Sebastián Piñera – linee aeree, banche e miniere tra i settori prediletti -, quello dell’Ecuador Guillermo Lasso e il dominicano Luis Abinader. Degli 11 ex presidenti che seguono tre vengono da Panama, paese d’altro canto tra più ospitali per la finanza offshore – il preferito pare di Piñera e Abinader come della cantante colombiana Shakira.

È ben rappresentato anche il Brasile, con il ministro dell’Economia Paulo Guedes e il governatore della Banca centrale Roberto Campos Neto. Guedes, economista-guru del presidente Jair Bolsonaro, padre tra l’altro di una riforma fiscale che di fatto detassa e agevola questo tipo di operazioni opache dei capitali privati sui mercati finanziari, ha investito miliardi in azioni del Dreadnoughts International Group, con sede alle Isole Vergini. Dai dati raccolti nell’inchiesta risulta però un primato tutto argentino: 2.521 i cittadini che risultano intestatari finali di conti offshore, un numero inferiore solo a quelli di Russia (4.437) Regno Unito (3.506). Non sono solo calciatori.

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PAKISTAN. Ministri, militari e donatori: nei guai il premier Khan

Membri del suo governo, donatori della sua campagna elettorale: i Pandora Papers investono in pieno il primo ministro pakistano Imran Khan, lui che nel 2018 era stato eletto proprio per la promessa di spazzare via l’élite politica corrotta e di indagare il coinvolgimento dei vertici pakistani nello scandalo precedente, quello dei Panama Papers.

Tra i nomi della lunga lista, oltre 700 cittadini pakistani, il suo non c’è. Ma ci sono due ministri (quello per le Risorse idriche Moonis Elahi e quello delle Finanze Shaukat Tarin, con ben quattro società offshore) e alcuni ex vertici dell’intelligence e delle forze armate, a ribadire il potere politico ed economico di cui per decenni l’esercito ha goduto (e gode) nel paese con imprese e proprietà immobiliari di ogni tipo e in tutto il mondo, una ricchezza accumulata negli anni «d’oro» della presidenza Musharraf. E poi ci sono stretti familiari – figli, fratelli – di altri ministri, ma anche due sostenitori chiave della campagna elettorale di Khan: il banchiere (caduto in disgrazia) Arif Naqvi e l’imprenditore Tariq Shafi.

Khan ha reagito domenica, subito dopo l’esplosione dello scandalo, e ha promesso di «indagare tutti i cittadini menzionati nei Pandora Papers; se emergeranno comportamenti sbagliati prenderemo misure appropriate».

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AFRICA. I tesoretti di comodo dei dittatori

Più prossimo alla fame è il reddito medio giornaliero, maggiore sembra essere la disinvoltura dell’establishment politico ed economico nel distrarre enormi quantità di denaro da investire nelle società di comodo offshore. L’Africa risponde presente nell’inchiesta del Consorzio. Tra i capi di Stato spiccano il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, il suo omologo gabonese Ali Bongo e il padre-padrone da 40 anni del Congo ex francese, Denis Sassou Nguesso, di cui erano noti gli interessi diretti legati all’industria petrolifera e del quale vengono ora documentati i successi nel settore diamantifero. Tutto messo al sicuro nelle Isole Vergini. Sede anche di due compagnie riconducibili al presidente del Gabon, Ali Bongo Odinba, succeduto al padre Omar Bongo anche nella rapina sistematica dei beni dello stato.

In tema sia di dinastie politico-familiari che di compagnie petrolifere nazionali utilizzate come bancomat, i Pandora Papers si occupano anche della Guinea Equatoriale. E della GEpetrol, al centro di una disputa tutatta interna alla famiglia del presidente Teodoro Obiang, che guida la piccola potenza petrolifera dal lontano 1979. Il figlio Gabriel Mbega Obiang, ministro del Petrolio, contro il fratello Teodorin Nguema Obiang, vicepresidente e primo pretendente al trono, oggetto di inchieste e condanne internazionali per corruzione. In questi giorni (servizio sul manifesto online) ha ripreso le sue vacanze italiane in megayacht tra Sardegna e Positano. Debitamente documentato su TikTok l’atteggiamento di chi, nonostante sia rincorso dalla giustizia internazionale, può permettersi ogni capriccio.

L’elenco dei vip africani della finanza offshore è completato da due premier, Patrick Aichi (Costa d’Avorio) e Aires Ali (Mozambico); e dal ministro degli Interni ugandese Jim Muhwezi.

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