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Nel tempo dei Globes aziendali

Nel tempo dei Globes aziendaliCillian Murphy e Robert Downey jr con le rispettive statuette ottenute ai Globes per "Oppenheimer" – foto Ansa

Hollywood Ottantunesima edizione ai primi premi che dovevano sancire il "comeback" postpandemico. Ha vinto "Oppenheimer" come grande favorito, delusione per "Barbie". Due premi per "Anatomia di una caduta", sconfitto Garrone

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 9 gennaio 2024
Luca CeladaLOS ANGELES

C’era forte aspettativa attorno a questi ottantunesimi Golden Globes e il parterre di nominees al completo ha confermato l’adesione dello star system e soprattutto del complesso industriale hollywoodiano ai primi premi che dovevano sancire il «comeback» post-pandemico nell’anno di Barbieheimer. Gli incassi americani per il 2023 sono rimbalzati a 9 miliardi di dollari complessivi, ancora due miliardi in meno dei livelli pre-covid, ma tutto sommato niente male per un formato, il cinema in sala, che alcuni davano per spacciato. 24 film oltre i 100 miliardi di box office, otto sopra i 200 milioni, sono numeri confortanti per un’industria che coi Globes doveva anche tornare a proiettare un senso di normalità dopo gli scioperi che l’hanno paralizzata per sei mesi.

DOPO L’ULTIMO annus horribilis è stato quindi un sollievo catartico tornare a concentrarsi sui pronostici e poi sulle alchimie innescate dalle statuette dorate che aprono la «award season», il trimestre di autocelebrazione che culminerà negli Oscar a marzo. Da questo punto di vista la giuria internazionale dei Globes ha soprattutto consacrato Oppenheimer come grande favorito, scegliendolo come legittimo film d’autore (miglior film drammatico, musiche, regia, Cillian Murphy protagonista e Robert Downey Jr. supporting). Barbie invece è stata limitata ad un premio per migliore canzone (What was I made for di Billie Eilish) e relegata a bionda reginetta del box office col premio poco lusinghiero nella nuova categoria «nazionalpopolare» per i campioni di incassi.
Ridimensionato anche il film di Scorsese, Killers of the Flower Moon, che si accontenta del premio «storico» a Lily Gladstone (tribù dei Piedi Neri), prima nativa a vincere un premio a Hollywood ma non va oltre. Buon piazzamento nella pole invece per Povere creature di Yorgos Lanthimos coi meritati premi per migliore commedia e migliore attrice (Emma Stone) e per il coming-of-age dal retrogusto anni settanta, Holdovers, di Alexander Payne che ha vinto con gli attori Paul Giamatti e Da’Vine Joy Randolph.Due premi, ma in questo caso diremmo valgono doppio, per Anatomia di una caduta. Il congegno ad orologeria poliglotta di Justine Triet si è aggiudicato la statuetta per la sceneggiatura oltre al premio per miglior film straniero. I risultati normalmente catapulterebbero il film a superfavorito per un Oscar straniero, ma in questo caso non concorre dato che non è stato presentato dall’associazione produttori francesi. Potenzialmente in lizza per le nomination dell’Academy (annunciate il 23 gennaio) rimane Io Capitano di Matteo Garrone, come anche Foglie al vento di Kaurismaki e La zona d’interesse di Jonathan Glazer, fra gli «sconfitti» di domenica. Nel reparto tv/streaming si sono ripetute prevedibili celebrazioni di Succession e The Bear.

Barbie invece è stata limitata ad un premio per migliore canzone (What was I made for di Billie Eilish) e relegata a bionda reginetta del box office col premio poco lusinghiero nella nuova categoria «nazionalpopolare» per i campioni di incassi.

SE L’OBBIETTIVO era di tornare alla normale amministrazione questo è stato centrato, ma nella celebrazione è stato innegabile anche un diffuso senso di disagio. Lo show era anche prova di riabilitazione dei Globes dopo la crisi che ha rischiato di cancellarli da panorama hollywoodiano. Si è trattato della prima edizione dei premi «privatizzati», comprati dalla Eldridge corporation, tentacolare holding che ha dissolto l’associazione della stampa estera che li ha gestiti per 80 anni e assunto i giornalisti come dipendenti pagati per votare. Una visione «aziendale» che ha «ripulito» lo spettacolo di ogni trasgressione, restituendo uno show blando e anemico. E soprattutto incapace di dare una risposta alla domanda più pressante sul futuro dei premi in generale e la (ir)rilevanza del complesso industriale-promozionale che in epoca Tik Tok stenta a trovare una risposta al crollo verticale degli ascolti che affligge non solo i Globes, ma lo stesso format dei premi.

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