Cultura

Nel regno ibrido della Serpentessa

Nel regno ibrido della SerpentessaVeduta di installazione nella mostra alla Gam «Hic sunt Dracones»

Mostre Protagonisti di «Hic sunt Dracones» – il titolo della rassegna alla Gam di Torino – sono Chiara Camoni e il collettivo dell’Atelier dell’Errore

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 19 novembre 2022

C’è un filo conduttore metodologico, oltre che tematico, a legare i due soggetti protagonisti della mostra da poco inaugurata alla Galleria civica d’arte moderna di Torino: le pratiche collaborative sono al cuore delle rispettive esperienze artistiche. Protagonisti di Hic sunt Dracones – questo è il titolo della mostra (fino al 12 marzo 2023) – sono Chiara Camoni e il collettivo dell’Atelier dell’Errore.
Camoni, piacentina, da tempo ha scelto un paesino dell’Alta Versilia, alle pendici delle Apuane, come proprio luogo di vita, di pensiero e di lavoro. Per quanto isolato, non è luogo di isolamento, perché l’artista ne ha fatto un Centro di sperimentazione con artisti amici per mettere in atto pratiche collettive. L’Atelier dell’Errore è collettivo «per costituzione» in quanto aggrega un gruppo di giovani artisti segnati da tratti neurologici atipici, dotati ciascuno di straordinaria ma ben specifica maestria.

LAVORANO sotto la direzione di Luca Santiago Mora, all’interno dell’Atelier che ha assunto la forma giuridica di cooperativa sociale con una tipologia inedita, creata ad hoc sull’onda della loro esperienza, quella dello «studio d’arte». Loro sono soci lavoratori e «timbrano il cartellino» ogni giorno nella sede ricavata all’interno della Collezione Maramotti a Reggio Emilia. Tutti elementi che restituiscono l’eccellenza e insieme l’esemplarità di questa esperienza.
Scrive la curatrice Elena Volpato che obiettivo della mostra è quello «di riconoscere la presenza di un pensiero metamorfico nell’arte contemporanea, o quanto meno, nei suoi territori più fertili». È un pensiero, avverte Volpato, «che genera draghi: esseri ibridi e polimorfi».
Ce ne si rende conto subito, a inizio percorso, quando veniamo accolti da una «Serpentessa» di Chiara Camoni e dall’immenso drago, proiettato in un video, dell’Atelier. La «Serpentessa», creatura che al femminile non è contemplata nelle classificazioni della zoologia, ha un corpo ricavato da un lungo ramo di mimosa che si insinua flessuoso e anche infido nello spazio espositivo. La «Serpentessa» mostra la fissità di sguardo dei rettili preistorici. La sue pupille minute entrano in una relazione complementare con quella aggressiva e vorace del dragone blu, che si presenta di profilo. È il segnale dell’immersione nei regni della metamorfosi che ci aspetta proseguendo nel percorso. Un altro serpente di Chiara Camoni, una delle opere più belle dell’artista in mostra, occupa sornione il sedile di una panca: ha il corpo fatto con tazze di porcellana incassate una nell’altra, creando un corto circuito tra la docilità quotidiana di cui è fatto e la minacciosa misteriosità che lo caratterizza.

ALTRI CREATURE IBRIDE presidiano l’ingresso nel grande spazio centrale. Sono le due leonesse di Chiara Camoni in terracotta, alle quali sono spuntati occhi perforanti da rettile. Oltre quella soglia, si entra nel regno dei mostri custodi dell’Atelier, disegnati a più mani, con un accanimento e una perizia da miniaturisti. Hanno nomi fantastici che sono parte integrante di questi processi creativi («Insetto Carnefice», «Pirotico Ferrocito»). Sono lavori di qualche anno fa che vediamo poi evolvere in opere tecnicamente più complesse, realizzate su AdETex, nastro americano rosso su tela, con smalti e foglie d’oro, marcati da segni neri.
Le creature prendono forme più magmatiche; come magmatiche sono le sembianze che assume il volto di Chiara Camoni nella serie dei 29 autoritratti (29 come i giorni di un ciclo lunare) realizzati a occhi chiusi: la mano lavora senza l’ancoraggio della vista, in un viaggio di scoperta di altri volti di se stessa da parte dell’artista. Il rimbalzo di sguardi tra queste due pareti che si fronteggiano lascia la nitida sensazione che i «Dracones» segnalati dal titolo non siano affatto esito di processi fantastici. Con più verosimiglianza i «Dracones» abitano chi li ha evocati.

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