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Nel profondo di un sogno, l’estate ipnotica dei Crowded House

Nel profondo di un sogno, l’estate ipnotica dei Crowded HouseCrowded House

Musica Il ritorno di Neil Finn & co con il nuovo album «Dreamers Are Waiting»

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 23 giugno 2021

Da sempre artigiano sopraffino di melodie pop impeccabili e mai banali, Neil Finn ritorna alla discografia con i suoi Crowded House dopo oltre dieci anni d’assenza. Gli ultimi dei quali passati in tour come membro aggiunto dei Fleetwood Mac. E forse è stato proprio il periodo trascorso a fianco di Lindsay Buckingham a fargli comprendere cosa può succedere quando una nuova generazione scopre una grande «vecchia» band. Conosciuti ai più come gli autori di classici come Something So Strong, It’s Only Natural e Don’t Dream It’s Over (cover di Antonello Venditti compresa), la band australiana si dimostra ancora in grado di concepire canzoni sopraffine con il loro settimo album in studio Dreamers Are Waiting. Composto durante la pandemia insieme al bassista-fondatore Nick Seymour, i figli di Neil – Liam ed Elroy Finn – e, alla produzione, il geniale Mitchell Froom che, negli anni 80, registrò e suonò le tastiere nei primi tre leggendari dischi del gruppo di Melbourne.

LE DOLCI MELODIE, la voce familiare di Finn e la qualità senza tempo di singoli come Whatever You Want confermano subito che non si tratta dell’ennesimo album «di ritorno», ma bensì della continuazione di una carriera pluri-trentennale che non conosce battute d’arresto creative. Il risultato, sebbene non sia immediatamente accattivante come i precedenti dischi dei Crowded House, oggi tutti classici, è ancora una volta una solida raccolta di gemme pop.

L’ALBUM si apre con Bad Times Good, brano dall’atmosfera sognante che si adatta perfettamente al titolo dell’album. Ma sono quasi tutte le canzoni del disco a possedere questa qualità eterea e onirica, a tratti ipnotica. Che si tratti della portata quasi orchestrale di alcuni scritti, della natura tortuosa di alcune strutture delle canzoni o delle sottili allusioni a Bowie, ai Beatles e altro ancora, c’è qualcosa di intangibile, quasi come un sogno, quando si entra nel mondo sonoro di Finn e soci. To The Island mescola le armonie dei Beach Boys alle chitarre jazz di George Benson, Deeper Down sembra una ballad bucolica vagheggiata da Paul McCartney. Mentre il dono innato di Finn di abbinare una narrazione suggestiva a una melodia indelebile prende vita, su una traccia a combustione lenta, come Show Me the Way.

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