In un’epoca come quella presente, in cui a prevalere sono morte, violenza e soprattutto rifiuto del bene verso l’umano (e il non umano con cui condividiamo il mondo), fa la sua comparsa – per le edizioni Vita Activa Nuova – Espropriazioni (pp. 184, euro 18, con una nota di Mario Martone), raccolta di nove racconti scritti da Barbara Buoso. Titolo maestoso nella sua nominazione, il libro consegna in effetti un’articolata disamina di ciò che il termine indica, nel suo mutevole e almeno doppio significato di togliere qualcosa che è proprio e della sua dismissione, quest’ultima anzitutto sentimentale perché precede qualsiasi atto formale, forzato o che attenga alla materialità delle cose in genere.

DEI PERSONAGGI e personagge descritte da Buoso – che fino a ora ha pubblicato tre romanzi, di cui più recenti sono L’ordine innaturale degli elementi (2014), E venni al mondo (2018) -, anche in questa sua prima silloge di testi brevi si avverte una luce capace di orientare temi importanti, alcuni dei quali ricorrenti a segnarne la poetica. A partire dal computare vicende tanto quotidiane quanto tragiche, là dove si attribuisce talvolta il senso del tragico a questioni astratte e che invece abita corpi mortali e altrettanto inquieti, grazie al lavoro letterario che l’autrice fa da anni, ovvero scavare la materia per espungerne il tratto vivente. Al soprasensibile si preferisce un mondo microfisico, non per questo meno spirituale che spesso è impercettibile, come il pulviscolo illuminato dal sole, o il rumore di alcuni insetti, oppure altri fenomeni composti da una nenia segreta di strana consolazione.
Ecco perché quando nel racconto «L’ultimo mare» Fabio sceglie l’abbandono radicale, muovendo risacche di ricordi dalle rive del Po al territorio del Polesine, ci accorgiamo quanto situare i luoghi li renda animati e umanamente comprensibili; allo stesso modo riconosciamo il rintocco della scelta in «Falene, d’estate» nell’amicizia di Nicola e Filippo, schiacciata da un lavoro che ne deforma le adolescenze agre; ed è proprio nella prima adolescenza che Gian Marco incontra per la prima volta Alessandra in uno dei racconti forse più intensi, «Distante dalla notte», quando l’intreccio di galassie allarga l’esordio dello sguardo verso una donna differente dalla propria madre.

IN QUESTO DEBUTTO, anzitutto emotivo perché non si conclude mai del tutto, chi riannoda la memoria è il protagonista maschile ed è piuttosto interessante il dettaglio cesellato che viene fornito da Barbara Buoso quando descrive quanto si possa presentire il desiderio scomponendone l’indistinto. Con molta cura la scrittrice mostra l’accidente di essere stati visti da un altro, o da un’altra, con l’unica ragione di imparare qualcosa di profondo su se stessi. E di venirlo a sapere anche dopo molti anni, nello spazio terzo e imprevedibile di una relazione, di cui quasi niente si sa fino a che non la si attraversa. A fronte di una estromissione costante, ve ne sono di elettive: la prima concerne la terra, contraltare di un altrove irraggiungibile, in cui capita di incrociare ragazzine e ragazzini che si occupano fin da piccoli di ettari di campagna, non sono solo lavori e sfruttamenti bensì antichità disabitate, come nelle fotografie di Luigi Ghirri (non a caso citato da Buoso in una delle epigrafi ai testi, utili perché forniscono mappa di molti dei riferimenti dell’autrice: da Anna Maria Ortese a Lalla Romano e Natalia Ginzburg).

L’EVENTUALITÀ è quella di una curvatura destinale, metamorfica sia pure in stretto rapporto ai luoghi delle origini e a un dettato famigliare all’apparenza ineluttabile che cresce esistenze insieme a futuri rovinosi. Di espropriazioni però ce ne sono ancora e molte altre, quella che subisce Flora da un figlio che fa i conti con un risarcimento, simbolico e patrimoniale di incalcolabile violenza. C’è poi l’amore, sembra laterale ma non lo è mai, emerge nei racconti e si sente nel laborioso e alacre ordito scelto da Buoso. Assume i contorni di un sussurrare terrestre e indecifrabile, come succede a Dario in «Il ronzio delle vespe», quando la madre gli bacia le mani ascoltandolo mentre dice delle lettere che si affollano sulla testa capaci di interferire sulle parole. E molte sono le parole utilizzate da Barbara Buoso, per dire ciò che può essere esplicitato. Insieme a una domanda più fonda, come lo è il silenzio di Dio sulle umane sorti.