Nel patto d’amore di un epistolario
«Mi rallegro al pensiero che non sarò mai abbastanza famosa da meritare una biografia. Anche se non mi importerebbe molto. Eppure, per me c’è qualcosa di orribile – e qui credo che una mente davvero letteraria non concorderebbe affatto – in una terza persona che legge ciò che era pensato per restare fra due. Un giorno o l’altro brucerò tutte le mie lettere». Così scrive la riservata e «anti-letteraria» venticinquenne Vanessa Bell in una lettera dell’ottobre del 1904 alla sorella minore Virginia, che è ospite a casa di alcuni parenti, fuori Londra, per riprendersi da un grave crollo nervoso a seguito della morte del loro padre.
Per nostra fortuna, negli anni, la grande pittrice avrebbe cambiato, almeno in parte, idea: il pensiero di non essere abbastanza famosa avrebbe continuato a confortarla, ma l’atteggiamento rispetto al proprio epistolario sarebbe stato tutt’altro. Nel 1957, infatti, avrebbe consigliato alla nipote Henrietta Garnett di conservare sempre «in ordine e in un luogo sicuro» le proprie lettere e quelle dei familiari, come una risorsa preziosa.
QUELLA DELL’INVASIONE di uno spazio intimo da parte di chi studia, traduce o semplicemente legge le scritture private (lettere, diari) di autrici e autori che ama, è antica e vexata quaestio: è giusto rendere pubblici scambi pensati per essere condivisi fra due, o confessioni che si erano fatte solo a se stessi in un particolare momento della vita? Una risposta non esiste, e verrebbe da aggiungere per fortuna.
Ci sono questioni che meritano di rimanere irrisolte, e che necessitano da parte di studiose e studiosi lo sforzo di una postura problematica, scomoda, e al tempo stesso rigorosa e proba: maneggiare questi documenti richiede competenza, rispetto, qualità di ascolto, e la precisa volontà di non cedere alla tentazione di sovrainterpretazioni, sensazionalismi e strampalate attualizzazioni che il mercato culturale sempre di più incoraggia e premia.
Liliana Rampello, critica letteraria fra le più autorevoli e raffinate del nostro tempo, è l’esempio di come questa postura sia ancora possibile, e porti a risultati di raro valore scientifico e culturale, dimostrando ancora una volta che si può, si deve, affrontare la sfida editoriale di ripubblicare grandi autrici e autori del passato tenendo insieme rigore metodologico e slancio divulgativo, due componenti che troppo spesso vengono considerate opposte e che invece sono inestricabilmente complementari.
L’epistolario fra Virginia Woolf e Vanessa Bell, appena uscito per i tipi de il Saggiatore, s’inserisce perfettamente in questo solco: costruito attraverso una conoscenza profonda e stratificata delle opere, delle biografie e della bibliografie critiche sulle autrici in oggetto da parte di chi, come Rampello, non si inventa woolfiano da un giorno all’altro, Se vedi una luce danzare sull’acqua. Lettere tra sorelle 1904-1941 (a cura di Liliana Rampello; traduzioni di Andrea Cane, Silvia Gariglio, Silvia Gianetti, Camillo Pennati, Sara Sullam; pp. 410, euro 35) è un libro godibilissimo, divertente, commovente, appassionante. A dimostrazione di quanto si diceva prima: chi ha fiducia nel pubblico delle lettrici e dei lettori, e ne ha rispetto, non avrà bisogno di propinargli delle edizioni semplificate o up-to-date sulle ultime tendenze del momento per offrirgli una lettura piacevole, accessibile e appagante.
ORIENTANDOSI con maestria nel corpus delle quasi 900 lettere che le due sorelle si sono scambiate nell’arco di quarant’anni, Rampello ne seleziona 171 (72 di Vanessa, 99 di Virginia) e le fa dialogare, ricreando una conversazione dinamica, viva e in continuo divenire, come già si era cercato di fare, nel 2019, con Scrivi sempre a mezzanotte, l’epistolario di Virginia Woolf e Vita Sackville-West (a cura di Elena Munafò, traduzioni di Sara De Simone e Nadia Fusini, nuova edizione Feltrinelli, 2023, pp. 304, euro 13, ndr).
Il risultato è l’affresco vivido e complesso della relazione fra due sorelle eccezionali, che per quasi mezzo secolo si accompagnano, s’interrogano, si mettono in discussione e si sostengono in un confronto aperto e libero sulla vita e sull’arte. O sull’arte della vita, di cui sono entrambe – checché se ne dica – talentuose interpreti. Già, perché se è vero che fra le due Vanessa è la più concreta, terrena, salda e Virginia la più volubile, volatile, tormentata, queste lettere ci fanno scoprire lati inediti, sfumature nuove, inaspettate fragilità e imprevisti atti di coraggio da parte di entrambe, in un continuo e fertile scambio delle parti. Quel rovesciamento dialettico che ogni vera relazione d’amore e d’affetto richiede se vuole essere viva e non cristallizzarsi in ruoli e identità fisse. Così, leggendo Se vedi una luce danzare sull’acqua, scopriremo che Vanessa è molto più vulnerabile di quanto siamo abituati a pensare, e che, di contro, Virginia è molto più forte di quanto ci è stato raccontato. Perché è questo il miracolo delle sorelle V & V: far durare per tutta la vita quel patto stipulato da bambine, mentre sedute sotto il tavolo della nursery si promettono di essere «insieme in combutta contro il mondo».
Il contatto con te mi risolleva dall’abisso mortale dei luoghi comuni
LO SAPPIAMO, quando la ventenne Virginia è prostrata dalla morte del padre, è Vanessa – che pure, come lei, è rimasta orfana – a prendere in mano la situazione e organizzare in quattro e quattr’otto il trasloco dalla cupa dimora familiare di Hyde Park Gate, piena di mobili e libri, all’ariosa casa condivisa di Bloomsbury, che segnerà per lei e i suoi fratelli un nuovo inizio. Ma più raramente ricordiamo che, quando negli anni ‘30 Vanessa perde prima il mentore ed ex amante Roger Fry, e poi l’amatissimo figlio primogenito Julian, è Virginia a trascorrere ogni giorno con lei, a tenerla in vita e sostenerla con la sua presenza e le sue costanti attenzioni (cosa che Vanessa le riconoscerà apertamente in una lettera del ’38: se non fosse stato per lei, non ce l’avrebbe mai fatta). Ed è sempre Virginia che per quei morti, i «loro» morti – suoi e di Vanessa – scrive romanzi indimenticabili, che ridanno corpo e vita agli assenti: la pittrice non potrà che essere infinitamente grata alla scrittrice per averle restituito, uno dopo l’altro, l’adorato fratello Thoby (in La stanza di Jacob e Le onde), la madre Julia (in Al Faro), l’amico e maestro Roger (in Roger Fry: una biografia).
«Ho sempre la sensazione di scrivere più per te che per qualsiasi altro», le avrebbe confessato Virginia, in una lettera del ’31. Proprio così: nella speciale «combutta» che le vede alleate, Vanessa gioca un ruolo di primo piano nell’ispirazione di Virginia. Ma è vero anche il contrario. Subito dopo aver letto Le onde, «deliziata, sbigottita, preda di ogni tipo di umore», Vanessa non può fare a meno di ragionare sulla connessione profonda che sente fra il proprio lavoro e quello della sorella: «Ho lavorato a un grande e assurdo quadro a momenti alterni negli ultimi due anni e se solo fossi capace di fare quello che voglio fare – ma non lo sono – mi sembra che avrebbe in un certo senso un significato analogo a quello che hai fatto tu (…) per me, dipingere un pavimento coperto di giocattoli e mantenere la relazione tra questi, e tra questi e le figure e lo spazio del pavimento e la luce che vi arriva ha lo stesso significato che, mi sembra, intendi tu».
PUNGOLO E PARAGONE l’una per l’altra, modello a cui guardare o da cui discostarsi, Vanessa e Virginia procedono insieme nella vita, vicine quanto basta per non lasciarsi mai sole, distanti quanto è necessario perché ciascuna possa misurarsi coi propri desideri. Che sono simili e diversi, comuni e discordi, ma che sempre – sempre – si fanno racconto, in un dialogo ininterrotto, sensibile, talora esilarante, fra due anime risonanti.
Se vedi una luce danzare sull’acqua ci riconsegna questo duetto, questo canto a due voci che dura quasi quarant’anni, e che sulla pagina richiama, assieme alle due protagoniste, i volti e le voci di un’epoca, di un’atmosfera, che è prezioso riattraversare. Complice anche l’ottima traduzione di Sara Sullam, che per la prima volta in Italia ci restituisce non solo la voce di Vanessa ma anche una trentina di lettere di Virginia che avrebbero dovuto far parte dell’ormai leggendario sesto volume Einaudi del suo epistolario, still missing.
Lettori e lettrici capiranno che i pregi e gli effetti benefici di Se vedi una luce danzare sull’acqua sono infiniti. Compreso quello che Vanessa attribuisce alla vicinanza di Virginia in una lettera del 1908: «Il contatto con te mi risolleva dall’abisso mortale dei luoghi comuni». Ecco, noi, che di questo abbiamo infinitamente bisogno, proveremo lo stesso conforto stando in contatto con V e V, magnifiche e libere sorelle.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento