Nel morso dell’assenza, vivendo con il presagio della fine di un’epoca
POESIA «Lo strano diario di un tramviere», di Salvatore Sblando, per le Edizioni La Vita Felice
POESIA «Lo strano diario di un tramviere», di Salvatore Sblando, per le Edizioni La Vita Felice
«Come il traffico / di Piazza Derna / ruotiamo intorno / alle nostre poesie, scrive Salvatore Sblando, in uno dei testi contenuti nella sua silloge Lo strano diario di un tramviere (La Vita Felice, pp. 88, euro 12): ed è un itinerario circolare, conchiuso tra due eventi apicali, sui quali si stende l’ombra lunga della morte, quello che l’autore traccia muovendosi nel tempo e nello spazio appuntati entrambi meticolosamente in calce a quasi tutte le poesie, per scandire lo scorrere cronologico dei versi, in direzione dell’epilogo più infelice.
LA SCOMPARSA DEL PADRE, affetto da una forma di demenza che cancella anno dopo anno porzioni del suo essere all’affetto del figlio, è il perno dolente attorno al quale si dipanano gli accadimenti narrati nell’arco di sei anni, dal 2014 al 2020, con improvvisi salti temporali che affondano nelle memorie d’infanzia, come nell’incipit dell’opera, in cui il lutto per E-ma-nu-ele-Iu-ril-li irrompe nell’ordinaria quotidianità, uno «scioglilingua funebre», un presagio della fine di un’epoca, quella in cui ancora non si è conosciuto il vuoto che segue alla perdita.
ATTESE E ADDII, il morso dell’assenza che sfalda tutti gli amori possibili, la nostalgia per la terra d’origine, la Sicilia profumata e fiorita che la famiglia lascia alla volta di Torino, e a cui saldamente resterà legato nella stretta delle radici («Sono siciliano / che abita a Torino. / Sono anche io / un migrante), i luoghi della «grande città» che nel suo lavoro di tramviere abita nelle ore più solitarie, inciampando in un’umanità fragile, spesso abbandonata a sé stessa, i viaggi e gli andirivieni tra Palermo e il Nord, l’intimità del nido domestico (la «mansarda / che copre la mia casa / di cocci fermi) in cui imbastisce la fertile relazione con la scrittura poetica («unica / testimone / e figlia / del mio breve / passaggio»), sono gli snodi salienti della vicenda esistenziale che l’autore evoca e di cui è protagonista, in un «continuo oscillare» tra gli opposti: l’anelito alla permanenza che trova compimento solamente nella poesia, e la dissoluzione che si insinua invece in ogni aspetto del reale.
Una delle immagini più iconiche e ricorrenti del libro è infatti quella del fumo che si sprigiona dai sigari cubani, nel loro lento farsi cenere, intanto che il palato ne gusta le voluttuose sfumature di sapore, ad alludere al destino delle nostre esistenze, al loro inesorabile consumarsi fino al nulla.
LA COMPOSIZIONE diaristica dell’opera accoglie una versificazione sincopata, così breve da lasciare a volte le parole in solitudine, circondate da un alone di bianco, che non a caso è il colore scelto per raccontare l’implacabile sottrazione di lucidità a cui la malattia costringe il padre, una graduale perdita di sé, alla quale l’autore si sforza di porre rimedio nel gesto amorevole della cura («vorrei / vasculo patire / la tua demenza / mentre ti fai / dimenticanza come / quella mollica / che lancio / ogni mattina di fronte / al formicaio / lenta, piccola, lenta / più piccola, più piccola / e bianca comunque / bianca che resiste»).
L’INQUIETUDINE che pervade il dettato si coagula nello spazio attraverso una gestione grafica della pagina non lineare e la scelta del lessico vira alla sobrietà, con lemmi tematici che si ripetono, puntellando la rotta dei significati in un refrain che ne indirizza il senso. Sebbene una dolorosa consapevolezza segni ogni passaggio di questa raccolta poetica, la speranza di un tempo inedito a cui rimanda il sottotitolo Poesie per un nuovo inizio, fa capolino dai versi, «un appena / piccolo / di meraviglia», ci suggerisce il poeta, da cui ripartire per far ricrescere il cuore dopo ogni abbandono.
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