Nel mare sconfinato in cui contano le aritmie del pensiero
SCAFFALE Edito da Mimesis, «Logiche dei mondi» di Alain Badoiu prosegue il programma filosofico di «L'essere e l'evento»
SCAFFALE Edito da Mimesis, «Logiche dei mondi» di Alain Badoiu prosegue il programma filosofico di «L'essere e l'evento»
Si potrebbe definire un’opera barocca e inattuale, Logiche dei mondi. L’essere e l’evento, 2 di Alain Badiou (a cura di P. Cesaroni, M. Ferrari e G. Minozzi, Mimesis, pp. 749, euro 32). Barocca per mole e densità concettuale, inattuale per spirito. Fa venire in mente i trattati di Malebranche. Analogamente all’opera di quest’ultimo, anche Badiou in Logiche dei mondi insiste su ciò che può essere considerato come un tabù per le epoche alle quali i due filosofi parlano.
NEL CASO DI MALEBRANCHE il tabù è il male, nel caso di Badiou la verità. Per entrambi, rispettivamente male e verità non sono massimali ai quali approssimarsi, ma realtà oggettive. Come il male per Malebranche non è una semplice mancanza di bene, così per Badiou la verità non è semplicemente lo spazio negativo ritagliato da un contenuto che non si può indicare direttamente.
«Corpi e linguaggio», che secondo Badiou informano il mainstream dell’odierno credo del «materialismo democratico», non sono tutto. Fra essi, oltre la loro doxa relativistica, c’è lo scandalo delle «verità oggettive». In Logiche dei mondi, continuazione del lungo itinerario speculativo iniziato con L’essere e l’evento, Badiou affronta il problema di come le verità si incorporano nei diversi mondi, affermando così il loro doppio piano di immanenza: quello delle molteplicità dei luoghi e tempi nei quali esse appaiono e quello del loro ripetersi uguali a ogni apparire.
IN QUESTO LIBRO Badiou tenta di costruire il congegno – questo sì davvero barocco – di una metafisica dell’immanenza nella quale le disparità delle «logiche dei mondi» si legittimano in quella che egli stesso chiama «Grande logica», sovraordinata alle diverse lingue, culture, interpretazioni. È da questo livello, secondo Badiou, che si comprendono le forme veritative della politica nella specificità dei mondi in cui le forme stesse si danno. L’immanenza di Badiou è fitta di onde, di venature o di «pieghe», per utilizzare un altro elemento barocco, nella fattispecie quello del Leibniz di Deleuze. Solo alcune fra queste pieghe definiscono «forme vere», che cioè possono rimanere uguali ovunque vengano trasportate dalle fluttuazioni dell’immanenza: il «gran mar de l’essere», per utilizzare un’espressione dantesca amata dagli interpreti barocchi, che tutti in tutto ci fa inseparati.
COME SI FA A DISTINGUERE forme vere da forme che vere non sono? Come si distinguono le verità da quelle che non lo sono? La risposta di Badiou è: dal modo in cui esse «appaiono». Cruciale diventa allora stabilire che cosa vuol dire «apparire della verità». In una parola, potremmo rispondere che apparire della verità è ri-apparire, cioè ripetersi, come avviene in una medesima dimostrazione matematica fatta in luoghi e tempi disparati. In tal senso, i primi esempi che Badiou fa nel suo libro sono eloquenti. Badiou parla del riapparire dei numeri primi nella sequenza aritmetica e del riapparire della stessa generica immagine di cavalli nel disegno preistorico del Maestro della grotta di Chauvet e in due disegni del 1929 e 1939 di Picasso. L’artista spagnolo non conosceva i cavalli della grotta di Chauvet, essendo questi stati scoperti dopo che Picasso aveva disegnato i suoi cavalli.
SECONDO IL PARADIGMA di un platonismo rovesciato (ma non come quello che Heidegger attribuiva al Platone di Nietzsche), la ricorsività dell’immagine dei cavalli nel Maestro della grotta di Chauvet e in Picasso o la ricorsività dei numeri primi non sono pallide imitazioni delle idee di cavallinità e primarietà site nell’Iperuranio, ma l’apparire della loro verità immutabile, rispettivamente trans-storica e trans-numerica. Per comprendere il discorso di Badiou, è importante sottolineare che sia i numeri primi, sia le immagini di cavalli riappaiono in modo imprevedibile. Il loro apparire è, cioè, un «evento».
A PRIMA VISTA I NUMERI, uno dopo l’altro, non sembrano affatto imprevedibili. La loro cadenza pare anzi ritmarsi senza concrezioni e distensioni che ne alterino l’andamento. E invece è proprio questo quello che accade. I numeri primi mostrano che c’è un’aritmia nella numerazione aritmetica. Badiou fa questi esempi con i numeri primi non per mettere in crisi la verità assoluta dei teoremi, ma solo per dire che le verità all’interno della matematica costituiscono eventi, cioè «eccezioni» che appaiono perché si ripetono uguali nella loro irriducibile singolarità.
Si ripete solo ciò che è assolutamente e genericamente singolare. Così accade nella matematica, così accade nella storia, così accade anche nella politica secondo Badiou.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento