Europa

Nel mare Egeo il primo tragico naufragio del 2014

Nel mare Egeo il primo tragico naufragio del 2014

Immigrazione Due morti e dieci dispersi, donne e bambini, al largo dell'isola di Farmakonisi. Per la Guardia costiera greca la barca si sarebbe rovesciata durante le operazioni di salvataggio, ma per i sopravvissuti l'imbarcazione è affondata mentre veniva trainata in acque turche. Il ministro della Marina nega ma l'Unhcr chiede all'Europa di indagare sulla pratica illegale dei respingimenti collettivi

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 25 gennaio 2014

Due morti, una donna e un bambino, e altre dieci persone disperse, probabilmente annegate: altre due donne, altri otto bambini. Del primo drammatico naufragio del 2014 nel mar mediterraneo questa volta dovrà vergognarsi il governo greco. Se venissero confermate le testimonianze dei sopravvissuti sbarcati nell’isola di Leros, si tratterebbe di un “incidente” molto imbarazzante per la guardia costiera greca, piuttosto conosciuta per i suoi metodi poco ortodossi quando si tratta di respingere i migranti.

Il naufragio è avvenuto sei giorni fa al largo dell’isola greca di Farmakonisi. La scarna cronaca ufficiale – che non ha avuto grande eco nonostante l’unanime costernazione delle autorità europee “shockate” per la tragedia di Lampedusa dello scorso ottobre – racconta di una barca da pesca con a bordo 28 persone che prima si è ribaltata e poi è affondata (25 afghani e 3 siriani, difficile non considerarli profughi). Secondo l’autorità portuale greca la barca è stata scoperta dalla Guardia costiera e durante le operazioni di salvataggio si è rovesciata perché i migranti si sarebbero ammassati su un lato della barca. Ma una versione più ricca di particolari è stata raccolta da una squadra dell’Unhcr che ha visitato i superstiti. “Secondo i sopravvissuti – si legge in una nota – la nave della Guardia costiera stava trainando la barca a gran velocità verso la costa turca quando è accaduto il tragico incidente in mezzo al mare agitato”.

Un’accusa pesantissima che ha costretto il ministro della Marina greca, Miltiades Varvitsiotis, a smentire la ricostruzione dei sopravvissuti, che intanto ogni giorno si fa sempre più circostanziata. “Ci hanno colpito e hanno tentato di respingerci verso la Turchia – ha raccontato un uomo che ha perso moglie e quattro figli – ci è stato permesso di salire a bordo della nave della guardia costiera solo quando si sono resi conto che non avremmo lasciato la presa e che un’imbarcazione turca si stava avvicinando”. La testimonianza sembra confermare ciò che una Ong tedesca già nel 2007 aveva definito “una prassi” del governo greco, la stessa conclusione cui è giunto un articolato rapporto di Amnesty International pubblicato la scorsa estate. Titolo: “Frontiera Europa: violazioni dei diritti umani al confine della Grecia con la Turchia”.

Per l’Asgi, “se questa dinamica dei fatti verrà confermata ci troveremmo di fronte a un respingimento collettivo di rifugiati tassativamente vietato dal diritto internazionale ed europeo”. La stessa violazione per cui l’Italia venne condannata dalla Corte europea nel 2010 per i respingimenti criminali verso la Libia del colonnello Gheddafi. Quest’ultimo naufragio dice che gli sbarchi continuano anche in inverno e che con la primavera ricominceranno ad essere all’ordine del giorno in tutto il mediterraneo. C’è solo un modo razionale per evitare queste tragedie, ma in attesa della prossima, magari con altri cadaveri annegati al largo di Lampedusa, nessuno se la sente più di sprecare fiato invocando la creazione di canali di migrazione legali. L’Europa ha deciso diversamente.

 

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