Visioni

Nel liquido amniotico di Paolo Benvegnù

Nel liquido amniotico di Paolo BenvegnùPaolo Benvegnù – foto di Mauro Talamonti

Musica Incontro con l'artista milanese che ha appena pubblicato il suo nuovo album «È inutile parlare d’amore»

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 13 gennaio 2024

Un inizio in forma di apologo: «Due anziani signori conosciuti a Città di Castello, che ogni giorno vanno in tipografia, si mettono il camice e stanno tutto il pomeriggio a guardare la macchina ciclostile; che è spenta, perché i ciclostilabili non si fanno più». Per Paolo Benvegnù sono loro i perfetti rappresentanti dei Pescatori di perle — «esseri umani che vivono nel silenzio e nel non visto» — cantati in uno dei brani del suo ultimo album È inutile parlare d’amore, appena uscito per Woodworm/Universal. E potrebbe essere davvero l’ultimo in senso assoluto, ipotizza neanche troppo allusivo il cantautore milanese, serenamente disilluso dall’ambiente musicale: «A me dispiace saper fare questo lavoro e non poterlo fare, è diventato un hobby ed è inevitabile che sia così, perché il mercato ormai non dà alcuna chance a chi non viene visto. Il mio rammarico è di non poter fare, più che il musicista, lo studioso a tempo pieno, perché tale mi ritengo. Detto questo è possibile trovare anche energie facendo altro, convogliandole verso la propria ricerca».

QUELLO del pragmatico fine a ogni costo è il vero tema di fondo dell’album, il cui titolo si riferisce alla qualità quasi anacronistica dell’astratto, dell’irrazionale e dell’amore stesso. Ma identica sorte tocca anche alla musica, compresa quella che egli stesso contribuì a definire indipendente: «Quando tutto è finalizzato non c’è più espressione, ma solo un tentativo di fidelizzazione, seduzione, imbonimento. L’industria dell’intrattenimento ormai ha sovrastato quella della produzione, facendo passare il concetto che dobbiamo a tutti i costi fruire del tempo in maniera gradevole. La musica indipendente è stata tale finché era guidata da una ricerca individuale, quasi egoistica. Questo è ciò che dovrebbe essere l’arte. Ma se trenta milioni di persone la pensano come te, o c’è stata una fantastica rivoluzione culturale, o forse la tua ricerca non era così sincera».

“Le canzoni sono sgocciolate lentamente, una dietro l’altra. Non traccio mai delle linee nette quando penso a una storia: come diceva Fellini, a volte i film devono farsi un po’ da soli”

SUL BANCO di un’accusa portata avanti con una pacificità disarmante, non manca la tecnologia e il suo corredo di «ansia e controllo assoluto», tanto da fargli auspicare un ritorno a una dimensione umana anteriore, fondata su un altro caposaldo del suo credo, il pre-pensiero: «Ciò che permette all’idea di diventare materia, un aspetto esperienziale e istintivo, ammesso e non concesso che l’uomo abbia un istinto, questione sulla quale i filosofi continuano a dibattere. Chi si dedica alla creazione non dovrebbe mirare all’esterno ma alla propria autodeterminazione e autoarticolazione. È una sorta di alchimia destinata al fallimento!». Oppure, per tornare all’importanza del non visto, «la volontà di un altrove non strettamente visibile. La nostra società è estremamente legata all’occhio, ma la realtà è molto più complessa e multisensoriale».
Al di sopra di questa creazione intellettuale, Paolo continua a porre un altro grande tema, quello della «creazione femminile, fatta di carne e sangue, di cui il maschio ha paura perché non ne è capace. Io sono convinto che se Michelangelo lancia il martello contro Mosé è perché comprende, attraverso la sua sensibilità, che può creare solo con quella materia, che non è carne né sangue». L’atteggiamento patriarcale, quindi, diventa «la manifestazione di questa paura, in un’enclave maschile che vive in un mondo arcaico, dominato non con l’intelletto ma con la forza». Quando l’autore parla di questioni ataviche come il legame tra cicli mestruali e lunari, maree e liquidi amniotici, viene naturale scorgere nella dimensione acquatica un filo comune dell’album.

IMPRESSIONE che egli stesso conferma con un’immagine: «Le canzoni sono sgocciolate lentamente, una dietro l’altra. Non traccio mai delle linee nette quando penso a una storia: come diceva Fellini, a volte i film devono farsi un po’ da soli. Certo, bisogna mettersi in ascolto, usare le proprie energie primigenie… È un disco di gioia e di lacrime». Un ulteriore elemento liquido, di cui Paolo celebra il valore in un ultimo apologo: «Pensa a Ulisse: è l’eroe occidentale per antonomasia, ma la prima cosa che fa quando entra in scena, nel quinto capitolo, è piangere. Noi stiamo perdendo questo sentire, e questo mi preoccupa immensamente».
Il tour di presentazione del disco partirà il prossimo sabato 20 gennaio da Firenze, al Glue Alternative Concept Space. Altri concerti previsti in date successive a Brescia, Roma e Torino.

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