Nel giorno del rinvio a giudizio, Verdini abbandona l’amico Silvio e va in soccorso dall’amico Matteo
Forza Italia Accusato di bancarotta fraudolenta. Farà un gruppo parlamentare
Forza Italia Accusato di bancarotta fraudolenta. Farà un gruppo parlamentare
Il lungo addio si è alla fine concluso. Dopo mesi di rinvii, colloqui la cui inutilità era già nota in partenza, esitazioni poco credibili e niente credute, Denis Verdini, il luogotenente abituato a entrare in campo solo quando il gioco si faceva duro, ha abbandonato Silvio Berlusconi. Glielo ha annunciato di persona, nel corso dell’ennesimo colloquio a Roma, palazzo Grazioli, con intorno al tavolo ciò che resta dello stato maggiore berlusconiano. Il fedelissimo, Ghedini e Gianni Letta.
Niente urli, niente sceneggiate: «Le posizioni restano distanti». I toni, anzi, sono pacati, come si conviene a vecchi soci che si conoscono troppo bene e che troppe volte hanno giocato in tandem la partita che ora li vede contrapposti: quella per mercanteggiare voti e comprare rappresentanti del popolo offrendo qualcosina in più del concorrente.
Ancora una volta i corridoi del Parlamento sono ridotti a sgargiante mercato orientale: negli angoli nemmeno troppo oscuri si promettono posti e poltrone, sottosegretariati e presidenze. «Ho già pronta la lettera che invierò al presidente del Senato Grasso per formare un gruppo di 11 senatori», avverte Verdini. E’ la stessa lista che 24 ore prima aveva consegnato a Luca Lotti, l’alter ego di Renzi incaricato di spicciare l’affare sporco. Sull’effettiva consistenza di quella lista, qualche dubbio per la verità rimane. La pregiata compagnia di ventura guidata dall’ex proconsole campano Nicola Cosentino ci sarà di certo: con i senatori D’Anna, Falango ed Eva Longo. Ma quella altrettanto discussa e discutibile che ha per capitano il ras siciliano Lombardo, oggi condannatissimo, non sarebbe ancora convinta. Denis offre posti succulenti. Silvio marca a uomo, vaticina terremoti per il prossimo settembre, promette di non dimenticare il benservito al momento opportuno.
I due stanno valutando e soppesando varie ipotesi, non escluso il transito per la sgangherata Scelta civica prima di approdare all’ «Azione liberal-popolare», ultimo parto di un titolista fallito per il gruppo di Denis. Forse quello di Verdini è un bluff. Probabilmente, anzi. Al momento Verdini non andrebbe oltre gli otto senatori, due in meno del numero necessario per formare un gruppo, e non è neppure certo che ci siano tutti. Ma la partita resta aperta, e il suq della politica non conosce week-end. Il Gal, una sorta di «gruppo misto» di destra che al Senato raccoglie 15 rappresentanti di se stessi e tutt’al più del capobastone di turno, è un campo facile da arare. C’è un toscanaccio come Riccardo Mazzoni, già sodale di Verdini, ed è già acquisito. C’è Ruvolo, siciliano pure lui ma più vicino a Totò Cuffaro che a Lombardo. C’è Davico, unico componente della componente Idv del Gal, e potrebbe essere tentato. Entro la settimana prossima l’affare dovrebbe essere in un modo o nell’altro concluso.
La sola cosa evidente è che a nessuno, proprio a nessuno, crea il pur minimo problema il rinvio a giudizio del capobastone fiorentino per bancarotta fraudolenta. Un giro di 4 milioni che secondo il pm Luca Turco sarebbe stato orchestrato dal dirigente azzurro per consentire a una ditta in fallimento di resituire parte di un debito al suo Credito cooperativo fiorentino. Il particolare non turba i «responsabili» di turno: sono tutti uomini di mondo. Meno che mai se ne duole Matteo Renzi. Figurarsi se con un amico di famiglia come Verdini ci si formalizza.
Qualche mal di pancia, non tanto per il rinvio a giudizio quanto per la limpida personalità del toscanaccio e la brillante biografia politica e non solo, strazia invece la minoranza del Pd. L’ex capogruppo Speranza afferma forte e chiaro che, anche senza contare il rinvio a giudizio, «Su Verdini e gli amici di Cosentino ho posto una enorme questione politica. Aspetto ancora una risposta chiara da Renzi». Cosa ci sia da aspettare per la verità non si capisce. Quale risposta più esplicita degli incontri, delle cene e degli scambi di liste piene di nomi tra Lotti e Verdini?
D’Alema adopera come d’abitudine l’arma del sarcasmo: «Un compagno di Narni dice ‘Mi chiamo Palmiro. Si capisce da dove vengo? Non vi voto più». Non credo che ripiazzeremo tutti questi Palmiri con i Verdini». Ma la frase più inquietante, per Renzi, la ha pronunciata due sera fa Bersani: «Sul tema Costituzione non puoi invocare la disciplina». Vuol dire che se l’intrigo di Verdini fallisce, Renzi rischia di non avere i numeri per la riforma costituzionale.
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