Cultura

Nel Diario di Anne Frank non c’è spazio per alcuna speranza

Nel Diario di Anne Frank non c’è spazio per alcuna speranzaAnne Frank

Verso il Giorno della Memoria Il pamphlet della scrittrice ebreo-americana Cynthia Ozick, pubblicato dalla Nave di Teseo, prende esplicitamente di mira quella che considera come una lettura edulcorata del "Diario" della giovane morta in seguito alla deportazione nazista

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 25 gennaio 2019

Sono in molti ad essersi interrogati su quella che è stata definita come la fine dell’«era del testimone». Perché, malgrado dovette passare molto tempo dopo la fine della Seconda guerra mondiale perché i sopravvissuti dei Lager nazisti trovassero ascolto e si formasse, a partire dai loro racconti, la consapevolezza e la memoria pubblica dell’Olocausto che diamo oggi per acquisita, il trascorrere del tempo porta con sé inesorabilmente nuove sfide e quesiti.

Allo stesso tempo, le forme attraverso le quali il ricordo di quella tragedia ha finito per assumere uno spazio significativo nel nostro presente, non cessano di essere terreno di confronto e analisi.

È QUESTO IL CASO del pamphlet di Cynthia Ozick, Di chi è Anne Frank? (pp. 80 , euro 7), uscito sul New Yorker nel 1997 e pubblicato ora nel nostro paese da La Nave di Teseo nella traduzione di Chiara Spaziani. Ozick, una delle maggiori scrittrici ebreo-americane, nata a New York da genitori sfuggiti ai pogrom dell’impero russo – tra le sue numerose opere, Eredi di un mondo lucente (Feltrinelli, 2005) e Le carte della Signorina Puttermesser (La Nave di Teseo, 2017), prende esplicitamente di mira quella che considera come una lettura edulcorata del Diario della giovane ebrea morta in seguito alla deportazione.

Fin da quella frase – «Nonostante tutto, credo tuttora all’intima bontà dell’uomo» – che estrapolata dal testo ha finito per esserne considerata l’emblema, si è operata, a detta di Ozick una profonda mistificazione, tale da rendere un documento intriso di dolore e paura, una pagina sì drammatica ma in qualche misura anche consolatoria.

LA STORIA DI ANNE FRANK, spiega la scrittrice, è stata «censurata, distorta, tramutata, tradotta, ridotta; è stata resa infantile, americana, uniforme, sentimentale; è stata falsificata, volgarizzata, e, di fatto, spudoratamente e arrogantemente negata».

Quello che è stato di volta in volta presentato come «un inno alla vita» o «una commovente meraviglia nell’infinito spirito umano», sottolinea Ozick, è in realtà un diario «incompleto, troncato, spezzato; o, meglio, è completato da Westerbork (il campo di transito da cui gli ebrei olandesi erano deportati), da Auschwitz, e dai venti fatali di Bergen-Belsen».

Hollywood e il teatro, ma anche lo stesso padre di Anne che censurò alcune parti del Diario, uscito in forma integrale solo negli anni Novanta, nonché «il pubblico, di lettori e spettatori, in tutto il mondo», sono stati parte di questa «falsificazione», per «permettere a se stessi di crogiolarsi in un’inverosimile e squallida innocenza», indicando una qualche luce oltre il buio più nero delle camere a gas.

Ma, per Ozick, al contrario, il vero «trionfo di Bergen-Belsen» risiede nel suo «cancellare ogni possibilità di coraggio, dal suo provarsi capace di ricordare quanto facile sia distruggere l’animo umano». Questo annunciavano le pagine di Anne Frank, questo è stato volutamente celato. Resta da chiedersi cosa ne sarebbe della memoria di tutto ciò senza i milioni di lettori che il Diario ha avuto fino ad oggi.

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