Visioni

Nel degrado capitale, la crisi della città eterna

Nel degrado capitale, la crisi della città eternamanifestazione ludica ai Fori imperiali – foto Eidon

Caput mundi Il fantasma della cultura si aggira per Roma sempre più confusa e senza interlocutori, fra bilanci tagliati, assessori dimessi e palcoscenici occupati

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 6 luglio 2014

Se il teatro rappresenta, per fondamento costitutivo, la società che ha intorno, le vicende delle sale romane (e del gusto del pubblico, e della professionalità di chi se ne occupa, per non parlare poi dei politici che dovrebbero governarle) oggi metterebbe in scena una sorta di apologo paradossale. Dunque mentre il sindaco Marino si decide (ma non sappiamo in quale misura e in quale forma) ad interloquire finalmente con gli occupanti del Teatro Valle, appare sui giornali in questi giorni un’altra notizia.

La notizia che un altro spazio della tradizione romana, annuncia di voler intraprendere lo steso percorso che portò tre anni fa all’occupazione della sala augusta e vellutata dei marchesi Capranica.

La voce che allora indignò e coinvolse molti artisti verso l’occupazione, era che il Valle, rimasto senza «padroni» dopo lo scioglimento dell’Ente teatrale italiano che lo aveva in dote, e il successivo passaggio dal demanio statale al comune di Roma, potesse andare a costituire l’avamposto in centro città di Eataly, l’impresa di Farinetti allora non ancora impiantata a Roma e sorta solo successivamente all’Ostiense.

La trasformazione della bellissima sala settecentesca in un luogo di consumo di cibo, o magari un bistrot, o un tabarin, fece esplodere l’indignazione. Dei teatranti e non solo. Dopo tre anni la situazione, almeno dal punto di vista formale risulta bloccata: nonostante l’approfondimento dalla prospettiva del diritto, gli occupanti risultano oggi più isolati, e oggetto di critiche da varie parti, quasi che tengano «in ostaggio» a loro volta, un bene davvero comune e di tutti. Ora appare sui giornali la notizia che un altro spazio il Piccolo Eliseo, potrebbe essere trasformato in luogo di ballo, disco o balera a secondo dei gusti di chi lo gestirà.

L’Eliseo è un altro luogo «sacro» del teatro a Roma: per limitarci al dopoguerra, è stato il teatro di Luchino Visconti che dopo il buio fascista vi fece conoscere quello che nel frattempo era andato in scena nel mondo; e dopo di lui fu la casa di Paolo Stoppa e Rina Morelli, e poi dei Giovani, ovvero Valli, De Lullo, Falk, Guarnieri e compagnia… insomma un luogo forte, un palcoscenico non straordinario ma una bella sala confortevole, e ricca di abbonati, un po’ generone e un po’ generino romano.

Di tutto questo il Piccolo Eliseo costituiva il Ridotto, come del resto si è a lungo chiamato (mentre vi lavoravano da Franca Valeri a Paolo Poli a Giuseppe Patroni Griffi). E la proprietà era delle Assicurazioni Toro della famiglia Agnelli. Il corso discendente è iniziato una decina di anni fa, con la proprietà assunta dopo alcune vicissitudini dalla famiglia Monaci, che chiamò come direttore artistico Antonio Calbi (nominato ora direttore del Teatro di Roma). Gli abbonamenti calarono, la sala perse la sua identità. Che oggi, aggravandosi la crisi, può trasformare un teatrino moderno e funzionale, per quanto classico, in un locale danzereccio. Non per scandalizzarsi, ma la discesa agli inferi, che qualcuno può chiamare modernizzazione, avanza. Si potrebbe discutere di cosa sia bene o sia male, ma sarebbe pura filosofia astratta, poco utile nel caso.

Fa più dolore, guardandosi intorno, la mancanza di interlocutori validi con cui confrontarsi. Hanno ragione gli occupanti del Valle a rifiutare il decisionismo sterile di Marino, che già ha procurato alla città diverse ferite, anche se inferte «a fin di bene». Meglio certo rispetto ad Alemanno che non sapeva proprio cosa dire; poco o pochissimo se uno si aspetta da un’amministrazione di sinistra almeno una risposta sensata.

Ma non c’è più neanche l’assessore alla cultura: Flavia Barca si è dimessa insalutata ospite da un ruolo che non le si addiceva. Nessuno la sostituisce, e le fazioni del Pd romano si immagina siano impegnate al peggio per conquistarselo, come del resto è successo per l’Argentina.

Il personale politico romano attinente al teatro è quasi interessante, a vedere i loro prodotti spettacolari, le loro ambizioni, le loro pretese, la loro spartizione dei fondi per la cultura consumata un mese fa, tra tutte le diverse famiglie. Mentre pare che all’assessorato comincino a saltare anche dirigenti e funzionari (ma in nome di chi, e per quale autorità), giganteggia almeno la proposta di un intellettuale romano che pochi giorni fa, sull’Huffington Post, ha proposto un nome indiscutibile, e se non la prendesse per una diminutio: l’ex ministro della cultura Bray.

È stato in assoluto il miglior ministro passato e futuro a quel dicastero, sarebbe una sensata soluzione, anche riparatoria da parte della politica. Ma è troppo semplice e scontata per il sindaco Marino, cui piacciono le decisioni tanto sorprendenti e elaborate, da farli piangere ogni tanto i romani.

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