In un recente libro edito da Einaudi (Gigacapitalisti, pp. 152, euro 12), Riccardo Staglianò ci racconta in modo efficace le avventure – e anche le disavventure – di una nuova schiatta di capitalisti d’oggidì: quella della gig economy, dell’economia delle piattaforme, delle nuove forme di produzione di valore attraverso i dati. Si tratta di brand, di sigle ormai note a tutti – Google, Amazon, Airbnb, Facebook, eccetera – e di personaggi di cui leggiamo ogni giorno nelle cronache economiche e anche mondane: da Jeff Bezos a Bill Gates, da Mark Zuckerberg a Elon Musk.

STAGLIANÒ CI RICORDA con concretezza ed esempi i modi con cui molti di questi imprenditori del nuovo millennio hanno avuto successo: oltre che con prodotti e servizi innovativi, con l’elusione e l’evasione fiscale, con trattamenti (normativi) di favore, con la precarizzazione del lavoro, con appoggi politici di vario tipo. Il risultato è quello di un’economia non regolamentata, fondata – anche – su truffe e inganni di vario tipo, a beneficio dei consumatori e a danno degli stessi in quanto cittadini e lavoratori e della cosa pubblica (e anche dell’ambiente).

Un’economia – ricorda Staglianò – alimentata anche da una narrazione falsa, condita dall’ipocrisia della community e dello sharing, che nasconde guadagni altissimi per pochi e sfruttamento per molti. Il ritorno fiscale per gli Stati nazionali o i territori che ospitano queste attività (e vale per tutte) è spesso nullo, quello occupazionale (pensiamo ad Airbnb o a Google) anche questo ridicolmente modesto. Quasi sempre governi e Stati si sono fatti ingannare sulla base di promesse fatue e magari di qualche aiuto e finanziamento ai politici di turno. La gigeconomy assomiglia molto – ricorda Staglianò – al capitalismo (americano) di rapina degli albori, di cui ci ha raccontato Theodore Dreiser ne Il Titano e ne Il finanziere, di quei businessman che sarebbero stati etichettati da Roosevelt come «ricchi criminali».

DURANTE LA PANDEMIA gli affari di questi capitalisti «vincenti» sono andati a gonfie vele. Nel primo anno di Covid 19 questi super-ricchi hanno visto aumentare la ricchezza in modo clamoroso: quella di Jeff Bezos (Amazon) è passata da 113 a 187 miliardi di dollari (+64%), Elon Musk (Tesla) da 25 a 154 (+524%), Bill Gates (Microsoft) da 98 a 120 (+23%), Mark Zuckerberg (Facebook) da 55 a 102 (+ 89%), Larry Page (Facebook) da 51 a 76 (+50%), Sergej Brin (Google) da 49 a 74 (+51%).
Il mondo con la pandemia si è impoverito, i gigacapitalisti si sono arricchiti. E siccome anche i super-ricchi hanno un cuore, come Bill Gates e Jeff Bezos, hanno destinato qualche avanzo del loro patrimonio a cause nobili, a beneficio dell’umanità e del marketing.

Di fronte a questa colossale ingiustizia e truffa economica, c’è da chiedersi (come nel finale di Gigacapitalisti) che fare. Che non è la rivoluzione bolscevica, ma una serie di riforme e di interventi moderatamente riformisti: regole serie al business di questi nuovi signori del capitale del terzo millennio, la corretta tassazione dei profitti (magari con una web e digital tax degna di questo nome), la dignità del lavoro, la lotta ai paradisi fiscali (dove i gigacapitalisti depositano gran parte delle loro sostanze), il rispetto alla concorrenza e la lotta alle posizioni monopolistiche e dominanti. Lo Stato, gli Stati in tutto il mondo, negli ultimi vent’anni hanno fatto tantissimi regali ai businessman, ai super-ricchi, ai privilegiati: hanno deregolamentato il mercato del lavoro trasformandolo in un mercato dei lavoratori, hanno pressoché dimezzato le tasse alle imprese e alle classi di reddito medio-alte, hanno fatto scomparire le imposte patrimoniali (sui ricchi), hanno ridotto ad un’elemosina le imposte di successione dei super-ricchi. E molto altro.

IL CHE FARE È TUTTO QUI: ribaltare queste politiche, ribellarsi non solo al dominio di questi signori e del modello economico che li sostiene, ma anche a quella ideologia (storytelling la chiamano) che ha trasformato la nostra esistenza (dice Staglianò) in «tecnovita»; rifiutando la trasformazione dei cittadini in consumatori, dei diritti in bisogni (di mercato), dei lavoratori in moderni schiavi digitali, dell’eguaglianza economica e sociale in eguaglianza del consumo, come aveva prefigurato Marx nei Manoscritti del 1844. Non un compito semplicissimo certo: un’agenda difficile, ma l’unica da seguire.