Cultura

Nel cuore del capitalismo predatorio delle piattaforme

Nel cuore del capitalismo predatorio delle piattaformeAn Te Liu, «White Dwarf», 2012

Inchieste «Gigacapitalisti» di Riccardo Staglianò, per Einaudi. Nel contesto attuale emerge l’eco del sistema economico degli albori, quando Roosevelt parlava dei businessman come di «ricchi criminali»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 6 maggio 2022

In un recente libro edito da Einaudi (Gigacapitalisti, pp. 152, euro 12), Riccardo Staglianò ci racconta in modo efficace le avventure – e anche le disavventure – di una nuova schiatta di capitalisti d’oggidì: quella della gig economy, dell’economia delle piattaforme, delle nuove forme di produzione di valore attraverso i dati. Si tratta di brand, di sigle ormai note a tutti – Google, Amazon, Airbnb, Facebook, eccetera – e di personaggi di cui leggiamo ogni giorno nelle cronache economiche e anche mondane: da Jeff Bezos a Bill Gates, da Mark Zuckerberg a Elon Musk.

STAGLIANÒ CI RICORDA con concretezza ed esempi i modi con cui molti di questi imprenditori del nuovo millennio hanno avuto successo: oltre che con prodotti e servizi innovativi, con l’elusione e l’evasione fiscale, con trattamenti (normativi) di favore, con la precarizzazione del lavoro, con appoggi politici di vario tipo. Il risultato è quello di un’economia non regolamentata, fondata – anche – su truffe e inganni di vario tipo, a beneficio dei consumatori e a danno degli stessi in quanto cittadini e lavoratori e della cosa pubblica (e anche dell’ambiente).

Un’economia – ricorda Staglianò – alimentata anche da una narrazione falsa, condita dall’ipocrisia della community e dello sharing, che nasconde guadagni altissimi per pochi e sfruttamento per molti. Il ritorno fiscale per gli Stati nazionali o i territori che ospitano queste attività (e vale per tutte) è spesso nullo, quello occupazionale (pensiamo ad Airbnb o a Google) anche questo ridicolmente modesto. Quasi sempre governi e Stati si sono fatti ingannare sulla base di promesse fatue e magari di qualche aiuto e finanziamento ai politici di turno. La gigeconomy assomiglia molto – ricorda Staglianò – al capitalismo (americano) di rapina degli albori, di cui ci ha raccontato Theodore Dreiser ne Il Titano e ne Il finanziere, di quei businessman che sarebbero stati etichettati da Roosevelt come «ricchi criminali».

DURANTE LA PANDEMIA gli affari di questi capitalisti «vincenti» sono andati a gonfie vele. Nel primo anno di Covid 19 questi super-ricchi hanno visto aumentare la ricchezza in modo clamoroso: quella di Jeff Bezos (Amazon) è passata da 113 a 187 miliardi di dollari (+64%), Elon Musk (Tesla) da 25 a 154 (+524%), Bill Gates (Microsoft) da 98 a 120 (+23%), Mark Zuckerberg (Facebook) da 55 a 102 (+ 89%), Larry Page (Facebook) da 51 a 76 (+50%), Sergej Brin (Google) da 49 a 74 (+51%).
Il mondo con la pandemia si è impoverito, i gigacapitalisti si sono arricchiti. E siccome anche i super-ricchi hanno un cuore, come Bill Gates e Jeff Bezos, hanno destinato qualche avanzo del loro patrimonio a cause nobili, a beneficio dell’umanità e del marketing.

Di fronte a questa colossale ingiustizia e truffa economica, c’è da chiedersi (come nel finale di Gigacapitalisti) che fare. Che non è la rivoluzione bolscevica, ma una serie di riforme e di interventi moderatamente riformisti: regole serie al business di questi nuovi signori del capitale del terzo millennio, la corretta tassazione dei profitti (magari con una web e digital tax degna di questo nome), la dignità del lavoro, la lotta ai paradisi fiscali (dove i gigacapitalisti depositano gran parte delle loro sostanze), il rispetto alla concorrenza e la lotta alle posizioni monopolistiche e dominanti. Lo Stato, gli Stati in tutto il mondo, negli ultimi vent’anni hanno fatto tantissimi regali ai businessman, ai super-ricchi, ai privilegiati: hanno deregolamentato il mercato del lavoro trasformandolo in un mercato dei lavoratori, hanno pressoché dimezzato le tasse alle imprese e alle classi di reddito medio-alte, hanno fatto scomparire le imposte patrimoniali (sui ricchi), hanno ridotto ad un’elemosina le imposte di successione dei super-ricchi. E molto altro.

IL CHE FARE È TUTTO QUI: ribaltare queste politiche, ribellarsi non solo al dominio di questi signori e del modello economico che li sostiene, ma anche a quella ideologia (storytelling la chiamano) che ha trasformato la nostra esistenza (dice Staglianò) in «tecnovita»; rifiutando la trasformazione dei cittadini in consumatori, dei diritti in bisogni (di mercato), dei lavoratori in moderni schiavi digitali, dell’eguaglianza economica e sociale in eguaglianza del consumo, come aveva prefigurato Marx nei Manoscritti del 1844. Non un compito semplicissimo certo: un’agenda difficile, ma l’unica da seguire.

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