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Nel corridoio tra Siria e Iraq si prepara la nuova guerra

Nel corridoio tra Siria e Iraq si prepara la nuova guerraMosul, fuga dei civili dalla città devastata dai combattimenti – LaPresse

Post-Isis Il conflitto tra petromonarchie e Iran si gioca sui tavoli della diplomazia ma anche sul campo. Riyadh sfrutta i pruriti bellici di Trump per impedire a Teheran di collegare, via milizie sciite, Baghdad a Damasco

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 6 giugno 2017

Il corridoio che da Mosul va verso occidente, attraversa il labile confine siriano e da lì conduce a Damasco è oggi il cuore della guerra mediorientale.

La sconfitta ormai prossima dell’Isis a Mosul (l’esercito iracheno ha liberato quasi l’intera città e combatte ora per gli ultimi 4 chilometri quadrati) e a Raqqa (con le Forze Democratiche Siriane, Sdf, che circondano la “capitale” del califfato su tre lati) lascerà spazio alla resa dei conti regionale.

La stessa che si gioca sui tavoli della diplomazia mediorientale a cui Trump è stato fatto sedere con ogni onore: l’obiettivo è l’Iran e il corridoio Teheran-Baghdad-Damasco.

Ad apparecchiare il tavolo è il fronte sunnita a cui la nuova amministrazione Usa ha fornito gli armamenti necessari (110 miliardi di dollari in contratti di vendita a Riyadh), mai negati negli anni passati e con cui le petromonarchie hanno fatto prosperare il bubbone jihadista.

Armi ne stanno arrivando anche alle opposizioni siriane di stanza al confine tra Siria e Iraq, chiamate da Washington a impedire il passaggio, al di qua della frontiera, delle milizie sciite legate al governo iracheno e a Teheran.

Quelle milizie ieri hanno segnato un punto fondamentale nella guerra a al-Baghdadi: hanno ripreso la città irachena di Baaj, nel nord ovest del paese, un’area desertica dove si pensa che il “califfo” si sia nascosto negli ultimi anni e da cui si accede al valico di al-Qaim.

Le ultime sacche di miliziani islamisti è fuggita nella notte tra sabato e domenica, permettendo l’ingresso degli sciiti che hanno issato la bandiera irachena. Una vittoria dall’immenso valore simbolico.

A coprire l’avanzata delle Unità di mobilitazione popolare (Pmu) è stata l’aviazione irachena, dunque un’alleata ufficiale degli Usa. Ennesima contraddizione.

E il corridoio diventa esplosivo. Lì ad operare sono in tanti: c’è la Turchia che vuole creare una zona cuscinetto che corra dal nord dell’Iraq al nord della Siria, ripulita dalla presenza del Pkk; c’è, appunto, il Partito Kurdo dei Lavoratori che ha liberato la yazidi Sinjar e ora mantiene le posizioni; c’è il Kurdistan iracheno del presidente Barzani, alleato di Ankara, che il mese scorso ha inviato i peshmerga ad attaccare le unità del Pkk; e c’è l’Iran che punta a valicare la frontiera a sostegno del presidente siriano Assad.

Non è certo un caso che gli ultimi interventi aerei Usa si siano registrati nella zona di Badia, estremo confine orientale siriano, dove sono presenti 3mila uomini di Hezbollah e dove le milizie sciite irachene mirano a infilarsi. Il 18 maggio un raid statunitense ha colpito postazioni sciite a Badia, primo di una serie di avvertimenti a Damasco perché ritiri da lì i propri alleati.

Contrarie all’intervento sciita iracheno sono anche le Sdf: «Respingeremo qualsiasi tentativo delle milizie sciite irachene di entrare nei territori controllati dalle nostre forze e non permetteremo a nessuno di entrare in Siria», il commento del portavoce delle Sdf, Talal Salu.

Baghdad abbozza: ieri il premier al-Abadi ha detto che le forze alleate dell’esercito non interverranno fuori dei confini nazionali, né intendono minare la sicurezza di altri paesi.

Conferma Abu Mahdi al Muhandis, vice comandante delle Pmu, figura legata a doppio filo a Teheran, lo stesso che ieri ha annunciato la liberazione di Baaj: lasceremo – ha detto – i compiti di sicurezza nell’area di confine alla polizia irachena. Il portavoce delle Pmu, Ahmad al-Asadi, ha aggiunto: «La partecipazione di qualsiasi forza armata irachena al di fuori dei confini richiede un voto del parlamento».

A Baghdad si tira acqua sul fuoco. Ma il fronte sunnita ci lancia su benzina: c’è da sfruttare i pruriti bellici di Trump. Mandando nuove armi ai miliziani sul campo; fingendo di combattere le metastasi jihadiste chirurgicamente create e che ad oggi hanno come solo reale argine kurdi e milizie sciite; puntando il dito sull’asse sciita quando il mondo intero subisce gli effetti di una rete islamista transnazionale foraggiata per anni da Stati Uniti e Riyadh.

Le conseguenze arriveranno a breve: un rinnovato conflitto sui campi siriano e iracheno, Stati fatti fallire, con milioni di sfollati e società devastate dalle divisioni settarie.

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