Nel club degli agenti politicamente scorretti
Al cinema Eroi, follie e grand guignol in «Kingsman: The Secret Service» il nuovo film del regista di «Kick Ass».
Al cinema Eroi, follie e grand guignol in «Kingsman: The Secret Service» il nuovo film del regista di «Kick Ass».
Gli abiti di Savile Row, le penne avvelenate, l’ombrello anti-proiettili, l’aplomb britannico di Colin Firth e Michael Caine, una dark lady bellissima con lame micidiali al posto dei piedi, e il solito complotto per distruggere il mondo….Gli ingredienti parlano di James Bond, ma dietro alla macchina da presa di Kingsman: The Secret Service è il regista di Kick Ass ed ex produttore di Guy Richie. Quindi, i piatti dorati del cattivo nascondono McDonald e patatine fritte, le teste di numerosi capi di stato esplodono come fuochi artificiali e l’eroe della storia è un ragazzo povero cresciuto con mamma single.
Un po’ come aveva fatto con Kick Ass e con X-Men First Class, l’inglese Matthew Vaughn àncora la sua nuova action comedy a una storia di formazione. Modellati sui cavalieri della tavola rotonda, da cui ereditano anche i loro nomi d’arte –Galahad, Lancelot, Arthur…mentre il loro «tecnico» si chiama Merlino- sono un esclusivo club di agenti segreti, che vengono da tutto il mondo, e hanno il loro quartiere generale nel retrobottega di una superlussuosa casa d’abbigliamento maschile di Londra, Kingsman. L’esclusività del club è anche legata all’estrazione sociale, visto che i membri appartengono solo all’aristocrazia. Sporadici tentativi di integrare diversamente il corredo cromosomico dell’organizzazione sono falliti. I poveri, ricorda il capotavola Michael Caine/Arthur, semplicemente non hanno la stoffa.
Quando però la morte di un agente fa sì che venga organizzata una gara di reclutamento, uno degli agenti più rispettati, Colin Firth/Galahad, inserisce tra i partecipanti un ragazzo di periferia, Eggsy (Taron Egerton), che si dimostra più all’altezza del training sadico-militarista. Ricchi e poveri, cultura alta e cultura bassa, il classicissimo spionistico britannico e la sua presa in giro, la violenza sul serio e quella fatta per gioco…come già nei suoi lavori precedenti ed evocando un po’ anche le revisioni di genere del suo conterraneo Edgar Wright, Vaughn lavora sulle opposizioni.
Qui scritturato contro tipo, rispetto al suo pedigree di film letterari, Firth emette un lungo, paziente, sospiro quando, dopo aver finito la sua pinta di Guinness, deve neutralizzare i bruti che lo assalgono in una taverna. Cosa non è costretto a fare Mr. Darcy per guadagnarsi da vivere di questi tempi…Ed è ancora più perplesso quando si accorge che, «posseduto» da un nefasto chip che fa tavola rasa di qualsiasi inibizione trasformando gli essere umani in bestie assetate di sangue, ha eliminato a mani nude l’intera congregazione di una chiesa sudista. Lo spettacolo romeriano (ma le immagini citano anche Carpenter) di un pianeta i cui abitanti si fanno reciprocamente a pezzi per nessuna ragione è il traguardo di Velentine (Samuel Jackson), imprenditore di Internet con un difetto di pronuncia, e un cattivo molto bondiano che si nasconde in una montagna da cui entrano ed escono aeroplani e nei cui meandri ha rinchiuso, tra gli altri, anche la principessa di Svezia…
Come Eggsy e il suo maestro Galahad, Vaughn ha a sua disposizione un fittissimo arsenale di trucchi. Nessuno particolarmente originale, ma tutti usati con intelligenza e humor, e senza mai perdere di vista una certa affettività dei personaggi. Voci di corridoio dicono che lo studio ha voluto che alcune scene particolarmente violente venissero lasciate fuori dal film. Ma l’omaggio finale a Scanners con le teste che saltano in aria in sprazzi di luce e colore è realmente notevole.
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