Per il Consiglio di Stato, le proroghe sulle concessioni balneari sono illegittime: i titoli sono da considerare scaduti il 31 dicembre 2023 e vanno riassegnati subito tramite gare pubbliche. Per il Tar di Bari, invece, è valida l’estensione fino al 31 dicembre 2033 voluta dal primo governo Conte, a patto che i rinnovi siano stati oggetto di una pubblica evidenza sull’albo pretorio.

Con le sentenze depositate nell’ultima settimana, i giudici amministrativi continuano ad alimentare la confusione sul demanio marittimo, a cui solo una norma statale può mettere fine. Tuttavia, Palazzo Chigi sembra intenzionato a rinviare la soluzione a dopo le elezioni europee: il prossimo incontro del tavolo consultivo sul demanio marittimo, che dovrà divulgare i contenuti della riforma, è infatti stato convocato per il 12 giugno.

Per la prima volta da quando è stato istituito il tavolo, la presidenza del consiglio ha escluso le associazioni di categoria dei balneari e dei porti turistici.

In campagna elettorale, Giorgia Meloni aveva promesso tutele per i concessionari storici, ma gli imprenditori del settore hanno atteso invano una norma per un anno e mezzo. Non avendo deciso nulla, il governo ha permesso che la legge sulla concorrenza 2021 di Draghi facesse i suoi effetti: lì era stato stabilito il termine delle concessioni per la fine dello scorso anno, perciò alcuni comuni hanno già concluso le gare e molti altri si stanno apprestando a farlo.

Per questo, migliaia di concessionari hanno manifestato in piazza Santi apostoli a Roma lo scorso 11 aprile e il Sindacato italiano balneari di Confcommercio ha annunciato altre iniziative di protesta. La legge sulla concorrenza aveva previsto anche un decreto attuativo per stabilire dei criteri nazionali sui bandi, ma dal momento che il governo Meloni non lo ha mai varato, la responsabilità è stata scaricata sulle amministrazioni locali, lasciate sole a gestire una materia complessa e importante come il demanio marittimo.

Le tensioni nella categoria, il caos dei tribunali e la procedura di infrazione europea in corso non sembrano però essere sufficienti per convincere il governo Meloni a fare in fretta. D’altronde, il tema è impopolare sotto più punti di vista: per i titolari degli stabilimenti balneari, che in molte aree d’Italia si oppongono ancora alle gare, e per gran parte dell’opinione pubblica che è avversa ai privilegi dei concessionari storici. Forse per questo, Palazzo Chigi preferisce rinviare al post-elezioni una soluzione che sarà di compromesso e che potrebbe scontentare tutti.

Con le gare ormai in corso, la materia più complessa da gestire riguarda gli indennizzi ai concessionari uscenti, che in caso di passaggio del titolo, chiedono di essere ristorati del valore delle loro aziende e degli investimenti effettuati sulla base della precedente proroga al 2033, poi annullata dalla legge sulla concorrenza.

Un altro tema delicato è poi quello dei ricorsi e del rischio di infiltrazioni criminali: nell’inchiesta della procura di Genova che ieri ha portato all’arresto del presidente della Liguria Giovanni Toti, una delle accuse riguarda presunte corruzioni sulle concessioni balneari e portuali, e con migliaia di gare in tutta Italia, potrebbero accadere altri episodi simili. Senza contare che, in assenza di limiti nazionali, ogni comune è oggi libero di accorpare le concessioni in grandi lotti e assegnare più porzioni di spiaggia allo stesso soggetto, favorendo così i grandi monopoli. Il rischio, insomma, è che in assenza di regole, la concorrenza e le liberalizzazioni rappresentino un’occasione per gli affari del capitale e della malavita anche sulle spiagge.