ExtraTerrestre

Nel bosco antico che ci asco

Il Premio Gambrinus Giuseppe Mazzotti, uno dei nostri più affidabili riconoscimenti dedicati alle diverse culture della montagna, ha appena segnalato, nella categoria Ecologa e paesaggio, il volume Alberi sapienti, antiche […]

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 25 ottobre 2018

Il Premio Gambrinus Giuseppe Mazzotti, uno dei nostri più affidabili riconoscimenti dedicati alle diverse culture della montagna, ha appena segnalato, nella categoria Ecologa e paesaggio, il volume Alberi sapienti, antiche foreste. Come guardare, ascoltare e aver cura del bosco del forestale Daniele Zovi (classe 1952), Utet: «Gli alberi ci parlano, ma bisogna saperli ascoltare. Daniele Zovi si prova nell’impresa di spiegarci come si fa, tra esperienze personali, sincera ispirazione poetica e amore per la natura. L’opera segnalata in questa sezione è un libro appassionante e corredato da un ricco apparato iconografico, che ci ricorda che la natura e la cultura si influenzano a vicenda e considerarle separatamente, o peggio ancora credere l’una più importante dell’altra, è un grave errore.
Il bosco è un organismo complesso e anche un luogo dello spirito. Zovi si arrampica sugli alberi ma non ci chiede per fortuna di arrampicarci sulle sue pagine, che grazie anche a un’edizione molto curata offrono una piacevole esperienza di lettura». Alberi sapienti, antiche foreste è un racconto sentimentale, lo si potrebbe definire un album di famiglia. Gli alberi e i boschi – le specie, le flotte, le unità – vengono presentati con dovizia di particolare, costantemente mescolando ricordi, situazioni che uniscono umani e natura, e conoscenza specifica. Alcune osservazioni sono interessanti, e penso, ad esempio ad una considerazione sulla solitudine: «Gli alberi solitari in natura non esistono; quelli che vediamo nei parchi, nelle pianure coltivate, sono stati messi dall’uomo o sono sopravvissuti di un gruppo numeroso.

Così Cechov, alla vista di un pioppo solitario nella steppa, si domande se, condannato a vivere una vita in assoluta solitudine tra sole, vento, nebbia, neve e pioggia, possa essere felice per il solo fatto di esistere. Me lo chiedo anch’io» (pag. 28). Che poi è la domanda che molti di noi umani ci poniamo quando attraversiamo le lande della malinconia, o peggio, della depressione: posso essere felice per il solo fatto di esistere? Di essere vivo? Basta questo? Il dono della vita? Mi pare in effetti un punto cruciale, perché rafforza una riflessione a cui sto bricolando da tempo: che invero, l’uomo, anche quando parla di altro, in questo caso di natura, torna a parlare di sé: i propri bisogni, le proprie aspirazioni, la propria etica.

Forse questa è una verità che si riafferma anche nel capitolo 9, Come guardare un bosco, a mio parere il più riuscito del volume; emerge la differenza di visione fra il bosco “ordinato” che è quindi disciplinato dai bisogni di utilizzo del legno da parte della nostra specie, selezionato, liberato da alberi che indeboliscono la crescita degli esemplari più forti, nel pieno rispetto dei disciplinari forestali, ed il bosco sporco, disordinato, che è invece un ambiente che segue le proprie leggi, coi tronchi marci caduti e sfranti nel sottobosco, diventati palazzi viventi di funghi e insetti, un’idea di bosco che si continua anche oggi a voler annientare. Ottimi i suggerimenti di viaggio nei capitoli 16 e 17, dedicati alle foreste (quasi) vergini d’Italia ed Europa, che sarebbe emozionante poter visitare proprio accompagnati da Zovi e dalla sua passione.

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