Nei sacchetti un bel pasticcio all’italiana
Greenpeace La legge sull’obbligo di usare i sacchetti biodegradabili per l’ortofrutta, entrata in vigore lo scorso 1 gennaio, ha suscitato un vespaio. A causa di un incredibile cortocircuito burocratico tra i […]
Greenpeace La legge sull’obbligo di usare i sacchetti biodegradabili per l’ortofrutta, entrata in vigore lo scorso 1 gennaio, ha suscitato un vespaio. A causa di un incredibile cortocircuito burocratico tra i […]
La legge sull’obbligo di usare i sacchetti biodegradabili per l’ortofrutta, entrata in vigore lo scorso 1 gennaio, ha suscitato un vespaio. A causa di un incredibile cortocircuito burocratico tra i ministeri dell’Ambiente e quello della Salute, rischia di rivelarsi un clamoroso boomerang per l’ambiente.
Come già avvenuto cinque anni fa con la legge sugli shopper tradizionali, l’intenzione di partenza della nuova legge sui sacchetti ultraleggeri per asporto dei generi alimentari è di superare l’uso della plastica tradizionale. Tuttavia, contrariamente a quanto avvenuto con gli shopper, non è consentito usare sacchetti riutilizzabili.
Il divieto nella legge non è presente. Sono intervenuti però sia il ministero dell’Ambiente che il ministero dello Sviluppo Economico, che hanno autorizzato i sacchetti riutilizzabili, e il ministero della Salute, che ha detto sì a sacchetti monouso, a patto che siano vergini. Ad oggi quindi o usiamo il sacchetto che troviamo nel supermercato oppure ce ne portiamo uno nuovo da casa: una scelta che purtroppo ci costerebbe molto di più di 1 o 3 centesimi.
Eravamo e siamo ancora oggi convinti che sia necessario ridurre drasticamente il consumo di plastica, soprattutto usa e getta, e per questo nei mesi scorsi abbiamo lanciato una petizione, diretta al Ministro dell’Ambiente, per chiedere all’Italia di schierarsi per proteggere il mare e gli organismi che lo popolano con posizioni rigorose e ambiziose nell’ambito di alcune direttive comunitarie sulla gestione dei rifiuti, inclusa la plastica.
Con la nuova legge, per ogni singolo ortaggio o frutto che decidiamo di acquistare abbiamo bisogno di un sacchetto vergine in plastica biodegradabile, materiale che, se finisse accidentalmente in mare, potrebbe degradarsi in tempi più brevi, ma non brevissimi, rispetto alla plastica. Insomma, questo materiale può comunque generare problemi a pesci, delfini e tartarughe che potrebbero scambiarlo per cibo. È quindi lecito chiedersi (al di la della polemica sul costo di questi sacchetti che comunque, indirettamente, abbiamo sempre pagato e che, nel caso della legge specifica, dovrebbe servire come deterrente per l’impiego di sacchetti nuovi) se ci sia realmente un vantaggio per l’ambiente con la nuova normativa.
L’unica alternativa logica e sostenibile per l’ambiente è quella di consentire l’impiego di un sacchetto o una sporta riutilizzabile. Un’alternativa pratica, conveniente, sostenibile, che rispetta la gerarchia del riuso come opzione preferibile ed immediatamente adottabile, almeno nel caso dell’ortofrutta che non crea, a differenza di carne, pesce, e prodotti caseari molli, problemi di imbrattamento e sgocciolamento. Basterebbe una semplice circolare del ministero dell’Ambiente, condivisa col Ministero della Salute, che autorizzi l’uso di sacchetti riutilizzabili per l’ortofrutta in modo analogo a quanto già avviene in altri paesi europei in cui questa alternativa viene addirittura promossa.
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