’Ndrangheta, non ong: milioni sulla pelle dei rifugiati
Calabria Con 68 arresti, incluso un prete, sgominata la ’ndrina degli Arena Gestiva il Cara di Isola Capo Rizzuto, il più grande d’Europa. L’inchiesta, durata anni, intercetta una rete che va da Crotone a Lampedusa all’ombra del Viminale
Calabria Con 68 arresti, incluso un prete, sgominata la ’ndrina degli Arena Gestiva il Cara di Isola Capo Rizzuto, il più grande d’Europa. L’inchiesta, durata anni, intercetta una rete che va da Crotone a Lampedusa all’ombra del Viminale
Pareva un fortino inespugnabile. All’interno dell’ex aeroporto militare di Isola Capo Rizzuto, una distesa di 16.200 metri quadri avvolta dalle torrette e dal filo spinato, si è consumato per anni un business sulla pelle dei migranti. Convenzioni stipulate e rinnovate, una teoria di ministri e sottosegretari a far passerella, e un impero di intoccabili. Fino a ieri.
Il castello edificato negli anni dal parroco e dal governatore si è sgretolato all’alba di una giornata di maggio, il mese mariano. E in questa storia di mafia, religione e imprenditoria corsara, tutto non nasce per caso.
PROCESSIONI
Era l’8 maggio quando guidava la processione della Madonna greca, l’icona che si suppose provenir dalla Grecia via mare, divenendo presto copiosa sorgente di «miracoli» e attirando masse di pellegrini e laute donazioni. «È il momento di unità e di raccoglimento della nostra comunità», esclamò don Edoardo Scordio, aprendo l’omelia innanzi a cinquemila fedeli.
Arrivato sulle rive dello Jonio nel 1978, rosminiano, orgogliosamente anticomunista, Scordio è a capo di una vera holding: scuole materne, elementari e medie, centri per anziani, una polisportiva, le feste mariane, un cinema, una quota dell’aeroporto e il santuario della Madonna, luogo internazionale di turismo per pellegrini.
Ma gli introiti maggiori provengono dalla gestione del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (già Cie e Cpt), il S.Anna, il più grande d’Europa, con cui transita nelle casse comunali e in quelle della confraternita delle Misericordie, un esorbitante flusso di denaro.
Col suo piglio di padre padrone, Scordio è correttore spirituale ed eminenza grigia delle Misericordie. In una terra moribonda come il crotonese, il Cara di Isola può dirsi l’ultima cosa «viva». Soprattutto è un pozzo di denaro, una torta di milioni, erogati dalla prefettura per il mantenimento degli asilanti, ma anche un serbatoio di clientele, dove riesci anche ad eleggere un sindaco se vuoi, e luogo di processione, molto laica, di deputati e senatori (cfr il manifesto del 10 marzo 2010, «La parrocchia di Di Girolamo»).
Tutto intorno a loro. A quei milleduecento migranti (al massimo dovrebbero starcene 800) di una dozzina di nazionalità, tutti in attesa di un destino che viene deciso nel settore blindato della commissione territoriale. In silenzio oppure animando fiere. Come quella del 13 luglio del 2015, con la 106, la statale Jonica, occupata, i lacrimogeni a lambire l’aeroporto di fronte, i voli cancellati, le cariche, il sangue dei migranti sul selciato.
LAVANDERIA ARENA
L’operazione «Johnny», che ha smantellato la cosca degli Arena con 68 affiliati, disegna un quadro a tinte fosche. Il centro d’accoglienza era cosa loro. Su 103 milioni di euro di fondi europei ben 36 hanno ingrassato «la bacinella» della ‘ndrina. Agli arresti, oltre a don Scordio, anche Leonardo Sacco, governatore calabrolucano delle Misericordie. Entrambi in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. Sarebbero loro, secondo la Dda di Catanzaro, i promotori di un business illecito che nel solo 2009 ha permesso di stornare qualcosa come 6 milioni sui 13 a disposizione della Fraternità di Misericordia di Isola, in virtù di convenzioni stipulate con il Viminale.
Sacco avrebbe stretto accordi con il parroco per accaparrarsi tutti i subappalti del catering e di altri servizi. Grazie a lui gli Arena sarebbero riusciti a metter le mani sui fondi girati dal governo non solo per la gestione del Cara calabrese e di due progetti Sprar aperti nella zona, ma anche per quella dei centri di Lampedusa. Un affare senza freni: i cibi da preparare, gli operatori chiamati a lavorare nel centro, le lavanderie industriali per pulire lenzuola e tovaglie.
GLI ANTIRAZZISTI
Ma non si capisce il business del Cara di Isola, se non si capisce Crotone. Una città senza presente e senza futuro. Senza autostrada e, da poco, anche senza aeroporto. Da decenni senza stazione ferroviaria, dove si smontano i binari, tanto non ci arriva più nessuno. Tranne loro, ancora loro, i migranti, ma di una categoria diversa, i «dublinanti», quelli che non sostano al Cara perché un permesso ce l’hanno e sono costretti a ritornare a Crotone, alla questura di arrivo, per rinnovarlo, e nel mentre bivaccano vicino la ferrovia. L’ultima apparizione pubblica, don Scordio l’ha fatta proprio al Duomo di Crotone per portare l’olio santo della Madonna greca ai fedeli crotonesi, davanti ad autorità plaudenti.
Proprio dietro al Duomo, nella sede dell’Arci, esprimono soddisfazione gli antirazzisti per una operazione che «colpisce il “secondo livello” della criminalità mafiosa, quel connubio oligarchico che agisce nell’ombra, che abbiamo sempre denunciato in solitaria – ci dice Filippo Sestito – mentre le istituzioni comunali, regionali e i governi tacevano. Questo tipo di gestione dell’immigrazione è strutturalmente permeabile dalle mafie, a differenza del modello d’accoglienza diffusa sul modello Riace. Questa vicenda valga come monito».
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